[Messico] La Jornada, Mercoledì 25 Aprile, 2012

Articolo di Octavio Velez Ascensio

24 Aprile. Mentre il governatore Gabino Cuè Monteagudo convocava tutti i settori della società per “costruire un accordo di concordia e governabilità” e rispondere alle costanti mobilitazioni, varie organizzazioni sociali e contadine, oltra ad abitanti di comunità della regione La Cañada e diversi genitori, hanno bloccato Martedì 24 Aprile svincoli autostradali, strade ed edifici pubblici per esigere una risposta alle loro richieste, fra cui: scuola, cliniche, appoggio economico per l’agricoltura, strade, energia elettrica e punizioni per i politici che considerano criminali.
Cuè Monteagudo ha detto in conferenza stampa che la sua proposta ha come obbiettivo “costruire insieme una migliore relazione d’armonia fra tutti i settori sociali e il governo statale”. “Dobbiamo impegnarci per cosrtuire un ambiente sicuro che contribuisca a migliorare l’immagine di Oaxaca ed in tal modo, stimolare nuovi investimenti, flusso turistico che crei posti di lavoro, dinamismo economico e una migliore qualità di vita”, segnalò.

Il governatore si è riunito con il Frente Obrero de Trabajadores de Oaxaca, con i dirigenti della Confederacion de Trabajadores de Mexico, con la Revolucionaria de Obreros Mexicanos, con la Federacion de Trabajadores al Servicio del Estado e con la Confederacion Regional de Obreros y Campesinos [NB. tutte organizzazioni affiliate al PRI]. Hanno pianificato, tra le varie cose, una riubicazione contro l’aumento del costo della vita, borse di studio per i figli dei lavoratori, corsi di formazione per il lavoro.
Intanto, membri del Consejo de Organicaciones Oaxaqueñas Autonomas (COOA) hanno occupato 30 autobus del servizio urbano e hanno bloccato la strada internazionale Cristobal Colon, nei pressi dell’Agencia Municipal Trinidad de Viguera, municipio di Oaxaca e nel municipio della periferia urbana di Santa Lucia del Camino, così come la Strada Federale 175 Ciudad Aleman-Puerto Angel, nell’accesso all’aereo porto Benito Juarez.
A loro volta, abitanti di San Andres Teotilalpan, nella regione della Cañada, hanno chiuso le entrate alla Ciudad Administrativa Benemerito de las Americas, sede del Potere Esecutivo Statale e la strada Cristobal Colon, per esigere una risposta al conflitto agrario che hanno con un vicino villaggio, San Juan Batista Tlacoatzintepec.
Da parte loro i genitori dei ragazzi della Primaria 21 Agosto di Oaxaca, hanno chiuso la Calzada Porfirio Diaz lasciando parzialmente senza comunicazione il Nord della città, per esigere che si ripari la scuola danneggiata dal sisma dello scorso Marzo.

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[Mexico] Visita alla Garrucha

 
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La mattina dell’ 11 Aprile la “banda” si incontra a Ocosingo. Compagni e compagne di Nomads e del Nodo Solidale accompagnano Teresa, una delle “madri Antifasciste” di Roma, a visitare la Garrucha, uno dei caracol zapatisti. L’obbiettivo è conoscere l’esperienza della Clinica Autonoma ed in particolare quella Clinica Autonoma de las Mujeres, intitolata alla comandanta Ramona. Dopo circa un’ora e mezza di strada sterrata arriviamo a destinazione e dopo un (bel) po’ ci riceve la Junta del Buen Gobierno. L’emozione è forte per tutt@!Dopo esserci presentat@ la Junta ci accorda il permesso di visitare il caracol e di rimanere a pernottare.
 
Il giorno precedente il Caracol ha ospitato la festa per l’anniversario della morte di Zapata e nonostante i compagni e le compagne zapatist@ non bevano si nota una certa resacca. Conosciamo Carlos, uno spagnolo che sta offrendo servizio come medico e ci fa da “guida”; ci spiega che la questione della salute è fondamentale qui in Chiapas, sopratutto nelle zone rurali dove, a parte la distanza effettiva dai centri ufficiali, c’è il problema dell’accesso ai servizi basici. Il problema risulta innanzitutto economico, in quanto il costo dei servizi medici/ospedalieri è eccessivo per le famiglie indigene ed inoltre molto spesso capita che i medici non offrano un servizio adeguato.
Dopodichè le compagne visitano la Clinica delle donne, guidate da una promotrice di salute di appena 15 anni. Tale clinica offre consulta alle donne riguardo svariati temi, in particolare quello delle gravidanze e dei problemi che ne conseguono.
Restiamo a dormire nel caracol e dopo l’immancabile cena a base di riso e fagioli si va a dormire (in teoria dalle 22.00 in poi va rispettato il silenzio).
Il giorno dopo diamo un occhio al centro di comunicazione dove ci sono svariati computer a disposizione, videocamera, registratori ed incluso una connessione satellitare (non molto comune nelle comunità). I compagni stanno montando audio e video della festa del giorno precedente.

 Una bella esperienza che ci dimostra e conferma la capacità e la tendenza zapatista di lottare autonomamente e con i propri mezzi per un mondo differente.

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[Mexico] Dichiarazione del neonato Consiglio delle Organizzazioni di Oaxaca Autonome

dal sito del Nodo Solidale

CONSIGLIO DELLE ORGANIZZAZIONI AUTONOME DI OXACA – COA

PER LA COSTRUZIONE DI UNA FORZA AMPIA E PLURALE PER UN CAMBIAMENTO PROFONDO NELLA VITA SOCIALE E POLITICA DEL POPOLO DI OAXACA

DICHIARAZIONE POLITICA

A più di un quarto di secolo di politica neoliberale, i governi del messico, facendo alleanze con le grandi imprese nazionali, straniere e multinazionali, hanno reso possibile l’accumulazione di milioni di dollari in mano di pochi mentre milioni di messicani vivono nella miseria

Per sostenere questo progetto inumano, questi governi e queste imprese hanno promosso una serie di misure devastatrici che hanno avuto come risultato la perdita di lavoro, salari miseri e lavoro in nero, la perdita dei diritto sociali, la distruzione deliberata dei sindacati e l’abolizione dei diritti collettivi dei lavoratori, la migrazione di milioni di messicani, la ditruzione della campagna messicana, il saccheggio delle risorse naturali e la conseguente distruzione totale dell’ambiente.

Inoltre questo regime si distingue per la corruzione, l’impunità, la violenza instituzionalizzata e dove il crimine organizzato e coloro che dicono di perseguirlo si confondono in una guerra che ha fatto più di cinquantamila morti e desaparecidos e giustifica la militarizzazione totale del Paese producendo intenzionalemnte una psicosi di paura e insicurezza nella società messicana. Read more »

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[Messico] Quarta lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica

“Noi crediamo che un movimento deve produrre la sua propria riflessione teorica (attenzione: non la propria apologia). In essa può incorporare ciò che è impossibile per un teorico accademico, ossia la pratica trasformatrice del suddetto movimento. Noi preferiamo ascoltare e discutere con chi analizza e riflette teoricamente nei e con i movimenti o con le organizzazioni e non al di fuori di essi o, peggio , a spese di questi movimenti. Tuttavia facciamo un grande sforzo per ascoltare tutte le voci, facendo attenzione non a chi le pronuncia ma da dove provengono”. Subcomandante Insurgente Marcos: 7 pensieri di maggio, Rivista Rebeldìa n.7

(Quarta lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica) Subcomandante Insurgente Marcos. UNA MORTE… O UNA VITA Ottobre-Novembre 2011
Chi nomina chiama. E qualcuno accorre, senza appuntamento, senza spiegazioni, nel luogo in cui il suo nome, detto o pensato, lo sta
chiamando. Quando ciò accade, si ha il diritto di credere che nessuno se ne va del tutto finché non muore la parola che chiamando, lo riporta.
Eduardo Galeano, “Finestra sulla Memoria”, da Las Palabras Andantes. Ed. Siglo XXI.

Per: Luis Villoro Toranzo.
Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Don Luis Salute e saluti. Prima di tutto, auguri per il suo compleanno il 3 novembre. Speriamo che con queste lettere riceva anche l’abbraccio affettuoso che, anche se a distanza, le mandiamo. Proseguiamo quindi in questo scambio di idee e riflessioni. Forse ora più solitari per la confusione mediatica che si solleva intorno alla definizione dei nomi dei tre bricconi che si disputeranno la guida sugli insanguinati suoli del Messico. Con la stessa frenesia con cui spediscono le loro fatture per “spese di promozione immagine”, i mezzi di comunicazione si allineano alle diverse parti. Tutti concordano che le scempiaggini che esibiscono con impudicizia i rispettivi aspiranti, si possono coprire solo facendo più rumore sopra quelle dell’avversario. Il periodo dell’ansia degli acquisti natalizi coincide con la vendita delle proposte elettorali. Chiaro, come la maggioranza degli articoli che si vendono in questo periodo dell’anno, senza garanzia alcuna e senza la possibilità di restituzione. Dopo le esequie del suo ex-segretario di governo, Felipe Calderón Hinojosa è corso gioioso “all’estremo saluto” per dimostrare che ciò che importa è consumare, non importa che i sottosegretari di Stato siano morituri e con indeterminata data di scadenza. Ma, anche in mezzo al rumore ci sono suoni per chi sa cercare ed ha la determinazione e la pazienza sufficienti per farlo. Ed in queste righe che le mando ora, Don Luis, palpitano morti che sono vite.

I.- Il potere del Potere.

“La libertà di scelta ti permette di scegliere la salsa con la quale sarai mangiato.”
Eduardo Galeano, “Finestra sulle Dittature Invisibili” Ibid.

“Che ci governino, giudichino e se ne occupino le puttane, visto che i loro figli hanno fallito”
dal blog laputarealidad.org

Devo averlo letto o sentito da qualche parte. Era qualcosa come “il Potere non è avere tanti soldi, ma mentire e fare che ti credano molti, tutti, o almeno tutti quelli che contano.”

Mentire in grande e farlo impunemente, questo è il Potere.

Bugie giganti che includono accoliti e fedeli che diano loro validità, certezza, status.

Bugie che diventano campagne elettorali, programmi di governo, progetti alternativi di nazione, piattaforme di partito, articoli su giornali e riviste, commenti in radio e televisione, slogan, credo.

E la bugia deve essere così grande da non essere statica. Deve cambiare, non per diventare più efficace, ma per provare la lealtà dei suoi seguaci. I maledetti di ieri saranno i benedetti appena girate alcune pagine del calendario.

È il Potere – o la sua vicinanza – il grande corruttore?

A lui arrivano uomini e donne con grandi ideali, ed è l’agire perverso e corruttore del Potere quello che li obbliga a tradirli fino ad arrivare a fare il contrario e contraddittorio?

Dal pieno impiego alla guerra sanguinosa (e persa)…

Da “la mafia nel potere” alla “repubblica amorevole”…

Da “seimila pesos al mese bastano per tutto” a “alla fine nemmeno un sondaggio mi è favorevole”…

Da “Dio mio, rendimi vedova” a “Lupita D´Alessio, fammi leonessa di fronte all’agnello”…

Dal gruppo San Ángel allo Yunque totalmente scoperto…

Da… da… da… scusate, ma non trovo niente di significativo che abbia detto Enrique Peña Nieto…

Anzi, trovo che non abbia detto proprio niente, come se si trattasse di una pessima comparsa, di quelle che si vedono nei teleromanzi che balbettano qualche cosa che nessuno capisce. Visto che è così evidente, non gli farebbe male iscriversi al CEA di Televisa (secondo il programma di studi, al primo anno insegnano “espressione verbale”).

So bene che sui mezzi di comunicazione si “è letta” la fotografia della lista di Peña Nieto come unico candidato del PRI (dove appaiono i personaggi principali di questo partito), come dimostrazione del sostegno del partito a questo signore.

Mmh… a prima vista mi era sembrata la foto di una notizia giornalistica su un nuovo colpo al crimine organizzato. Che era stata smantellata una banda di ladri e che il giubbotto antiproiettile, col quale normalmente presentano gli “indiziati”, era stato sostituito dalla camicia rossa.

Poi ho guardato la foto con più attenzione. Beh, quelli non stanno dando dimostrazione di sostegno. È una banda di avvoltoi che si è resa conto che Peña Nieto non è altro che un burattino orfano e che bisogna metterci mano perché, se arriverà alla presidenza, di lui non importerà, ma piuttosto il ventriloquo che lo muove.

La sua designazione come candidato alla presidenza sarà un’ulteriore dimostrazione della decomposizione del Partito Rivoluzionario Istituzionale, e la disputa per vedere chi lo guiderà sarà a morte (e tra i priisti questa non è un’immagine retorica).

Sarà così patetica la situazione che perfino Héctor Aguilar Camín si offrirà per l’adozione… e l’urgente alfabetizzazione della creatura.

Alla fine, continuiamo a chiedere:

È il Potere che corrompe o si deve essere corrotto per accedere al Potere, per restarvi… o per aspirarvi?

Durante uno dei lunghi viaggi dell’Altra Campagna, passando per la capitale del Chiapas, Tuxtla Gutiérrez, dissi che la poltrona governativa chiapaneca doveva avere qualcosa che trasformava persone mediamente intelligenti in stupidi finqueros con pose da piccoli tiranni. Julio guidava, Roger era il copilota. Uno dei due disse “oppure erano già così, ed è per questo che sono diventati governatori”.

Poi aggiunse, parola più, parola meno, il seguente aneddoto: “Passando davanti all’edificio in cui era riunito il congresso, una signora sentì gridare: “Ignorante! Idiota! Puttana! Ladro! Criminale! Assassino!” ed altri epiteti più rudi. La signora, inorridita, si rivolge ad un uomo che fuori dall’edificio legge un libro. “È uno scandalo”, gli dice, “noi li manteniamo con le nostre tasse e questi deputati non fanno altro che litigare e insultarsi”. L’uomo guarda la signora, poi l’edificio legislativo e, tornando al suo libro, dice alla signora: “non stanno litigando né insultandosi, stanno facendo l’appello”.

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II.- Il Potere e la Riflessione sulla Resistenza.

La sinistra è la Voce dei Morti
Tomás Segovia. 1994.

Mmh… il Potere… la prova inconfutabile, il sogno degli intellettuali dell’alto, la ragion d’essere dei partiti politici…

Ora, morto il maestro Tomás Segovia, lo nominiamo, lo evochiamo e lo riportiamo a sedersi tra noi per rileggere, insieme, alcuni dei suoi testi.

Non le sue poesie, ma le sue riflessioni critiche sul e rispetto al Potere.

Pochi, molto pochi, sono stati e sono gli intellettuali che si sono impegnati a capire, non a giudicare, questo nostro accidentato percorso che chiamiamo “zapatismo” (o “neozapatismo” per alcuni). Nell’elenco striminzito ci sono, tra gli altri, Don Pablo González Casanova, Adolfo Gilly, Tomás Segovia e lei Don Luis.

Abbracciamo tutti loro, e lei, come solo abbracciano i morti, cioè, per la vita.

E chi ora ricorda Tomás Segovia solo come poeta, lo fa per scindere quell’uomo dal suo essere libertario. Siccome Don Tomás non può fare niente ora per difendersi e difendere la sua parola completa, si sprecano gli omaggi “taglia e incolla”, che pubblicano e riprendono i pezzi gentili, lascia nell’oblio quelli scomodi… fino a che altr@ incomod@ li ricordano e li citano.

E per non interpretare le sue parole (che può essere intesa come una forma gentile di usurpazione) trascrivo parti di alcuni scritti.

Nel 1994, in piena euforia accusatoria della destra, quella sì istruita perché la guidava Octavio Paz (uno dei suoi cortigiani era l’impresario Enrique Krauze – oh, non si offuschi Don Krauze, agli intellettuali non si può rimproverare di essere di destra o di sinistra, ma, come nel suo caso, che per emergere, invece di usare l’intelletto, ricorrano all’adulazione di ganster come quelli che ora sono al governo -), Tomás Segovia scrisse (le sottolineature sono mie):

Che prevalga una o un’altra forma di fascismo, la verità e la giustizia prendono la forma della Resistenza.

Ma si può dire che la sinistra è per costituzione resistenza. Senza dubbio la sinistra nel nostro secolo è piombata in un irrimediabile errore storico, e questo errore è stato credere che la sinistra potesse prendere il potere. La sinistra al potere è una contraddizione, la storia di questo secolo ce l’ha abbondantemente dimostrato (…).

Oggi è chiaro, mi sembra, che la sinistra non è diversa dalla destra, collocate entrambe in una relazione opposta ma simmetrica rispetto al potere: la sinistra è innanzitutto l’altro del potere, l’altro ambito e l’altro senso della vita sociale, quello che resta sepolto e dimenticato nel potere costituito, la riscossa del represso, la voce della vita in comune soffocata dalla vita comunitaria, la voce dei diseredati prima di quella dei poveri (e quella dei poveri solo perché sono in maggioranza, ma non esclusivamente, i diseredati) – la sinistra è la Voce dei Morti.

Una delle idee che più ci hanno fatto danno è stata l’idea di “reazionario”, che ci ha fatto pensare che la destra che si oppone al progresso, è resistenza e parla in nome del passato, delle radici, di tutto quanto è “superato”. Così la sinistra si convinceva che la resistenza è il potere nella misura in cui continuava ad essere di destra e si opponeva al progressismo della sinistra nel tentativo disperato di conservare i suoi privilegi e il suo dominio, senza vedere che il potere, sia di destra che di sinistra, è solo resistenza nel significato diverso e molto più semplice: nel rifiutarsi di essere sostituito da un altro potere, sia di sinistra che di destra; ma che di fronte alla storia il potere è sempre progressista.

In Messico, normalmente, questo si vede con particolare nitidezza data la crudezza dei rapporti di potere in questo paese: oggi sappiamo con chiarezza che nessun governo è stato più deciso ed attivamente progressista di quello di Porfirio Díaz, e che ai nostri giorni è il PRI quello che monopolizza e sfrutta la retorica del progresso, del cambiamento, della modernizzazione, del superamento dei nostalgici “emissari del passato”, e perfino di democrazia.

(E questo mi fa pensare che anche la democrazia al potere o del potere è una contraddizione: la democrazia non è “demoarchia” – il popolo al potere è un’utopia o una metafora, molto pericolosa da prendere alla lettera, perché “il popolo”, supponendo che esista o anche se non esiste se non come entelechia, è per definizione ciò che non è al potere, l’altro del potere.)

Ma i miei affascinanti colleghi, quando si consegnano al Governo ben consci che le sue promesse sono false, sono sedotti? Impossibile: la seduzione è desiderio allo stato puro, implica la visione folgorante che il tuo piacere è il mio piacere. Non è possibile una visione in cui il piacere del Potere sia il piacere del “popolo”.

E nel 1996 segnalò:

Parallelamente, in un paese che non pratichi più la proibizione violenta delle espressioni dirette della vita sociale primaria, l’ideologia del potere ci ricatterà chiamandoci puttane – cioè disgregatori, negativi, risentiti, violenti -, o tenterà di persuaderci, come i politologi ed altri intellettuali cercano di persuadere gli zapatisti, come tentano di persuadermi i miei colleghi (incominciando da Octavio Paz), che la “vera” via di esprimerci e di influire sulla vita sociale è entrare nelle istituzioni – o in quell’istituito in generale.

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Don Luis, credo che concorderà con me che, rispondendo a questi testi provocatori di Tomás Segovia, la riflessione su Etica e Politica deve toccare il tema del Potere.

Forse in un’altra occasione, e chiamando altri, possiamo scambiare idee e sentimenti (che altro non sono i fatti che animano queste riflessioni), su questo argomento.

Per adesso, vada questa evocazione a Don Tomás Segovia, che dichiarava di non avere tempo di non essere libero e senza imbarazzo confessava: “quasi tutta la vita l’ho guadagnata onestamente, cioè, non come scrittore”.

Non solo per portare qui la sua parola irredenta, perché capita a proposito.

Ma anche, e soprattutto, perché più che il poeta, è il pensatore che ha aperto una terza porta verso il movimento indigeno zapatista. Guardando, vedendo, sentendo ed ascoltando, Don Tomás Segovia attraversò quella porta.

Cioè, capì.

III.- Il Potere e la Pratica della Resistenza.

Municipio Autonomo Ribelle Zapatista San Andrés Sacamchen de Los Pobres, Altos del Chiapas. La mattina del 26 settembre 2011, il comandante Moisés stava andando a lavorare nella sua piantagione di caffè. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, non riceveva salario o prebenda alcuna. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, doveva lavorare per mantenere la sua famiglia. L’accompagnavano i suoi figli.

Il veicolo sul quale viaggiavano si ribaltò. Tutti rimasero feriti, ma le ferite subite da Moisés erano mortali. Quando arrivò alla clinica di Oventik era ormai morto.

Nel pomeriggio, com’è abitudine a San Cristóbal de Las Casas rincorrere le voci, la morte di Moisés attrasse giornalisti avvoltoi che pensarono che il morto era il Tenente Colonnello Insurgente Moisés. Quando seppero che non era lui, ma un altro Moisés, il Comandante Moisés, persero ogni interesse. A nessuno di loro importava qualcuno che non era apparso in pubblico come dirigente, qualcuno che era sempre stato nell’ombra, qualcuno che apparentemente era solo un altro indigeno zapatista…

Nel calendario doveva essere il 1985-1986. Moisés seppe dell’EZLN e decise di unirsi allo sforzo organizzativo quando negli altos del Chiapas gli zapatisti si contava sulle dita delle mani… (ed avanzavano le dita).

Insieme ad altri compagni (Ramona tra loro), cominciò a percorrere le montagne del sudest messicano, ma allora con un’idea di organizzazione. La sua piccola sagoma sbucava dalla nebbia nei territori tzotziles degli Altos. Con la sua parlata lenta snocciolava il lungo elenco di oltraggi perpetrati contro chi è del colore della terra.

“Bisogna lottare”, concludeva.

L’alba del primo gennaio 1994, come uno dei combattenti, scese dalle montagne sull’altezzosa città di San Cristóbal de Las Casas. Era nella colonna che prese la presidenza municipale, costringendo alla resa le forze governative che la difendevano. Insieme agli altri membri tzotziles del CCRI-CG, si affacciò al balcone dell’edificio che dava sulla piazza principale. Dietro, nell’ombra, ascoltò la lettura che uno dei suoi compagni faceva della cosiddetta “Dichiarazione della Selva Lacandona” ad una folla di meticci increduli o scettici, e di indigeni colmi di speranza. Con la sua truppa ripiegò sulle montagne alle prime ore del 2 gennaio 1994.

Dopo aver resistito ai bombardamenti ed alle incursioni delle forze governative, tornò a San Cristóbal de Las Casas come parte della delegazione zapatista che partecipò ai cosiddetti Dialoghi della Cattedrale con rappresentanti del governo supremo.

Ritornò e continuò a percorrere i territori per spiegare e, soprattutto, per ascoltare.

“Il governo non mantiene la parola”, concludeva.

Insieme a migliaia di indigeni, costruì l’Aguascalientes II, ad Oventik, quando l’EZLN subiva ancora la persecuzione zedillista.

Fu uno delle migliaia di indigeni zapatisti che, a mani nude, affrontarono la colonna di carri armati federali che volevano posizionarsi ad Oventik nei giorni funesti del 1995.

Nel 1996, nei dialoghi di San Andrés vigilava, come uno dei tanti, sulla la sicurezza della delegazione zapatista, accerchiata da centinaia di militari.

In piedi, nelle gelate albe degi Altos del Chiapas, resisteva sotto la pioggia che faceva scappare i soldati a rifugiarsi sotto un tetto. Non si muoveva.

“Il Potere è traditore”, diceva come per scusarsi.

Nel 1997, con i suoi compagni, organizzò la colonna tzotzil zapatista che partecipò alla “Marcia dei 1,111″, e raccolse informazioni vitali per fare luce sul massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno, perpetrato dai paramilitari sotto la direzione del generale dell’esercito federale, Mario Renán Castillo, e con Ernesto Zedillo Ponce de León, Emilio Chuayfett e Julio César Ruiz Ferro quali autori intellettuali.

Nel 1998, dagli Altos del Chiapas, organizzò e coordinò l’appoggio e la difesa delle compagne e dei compagni sfollati dagli attacchi contro i municipi autonomi da parte del “Croquetas” Albores Guillén e di Francisco Labastida Ochoa.

Nel 1999 partecipò all’organizzazione e coordinamento della delegazione indigena tzotzil zapatista che partecipò alla consultazione nazionale, quando 5 mila zapatisti (2500 donne e 2500 uomini) coprirono tutti gli stati della Repubblica Messicana.

Nel 2001, dopo il tradimento di tutta la classe politica messicana degli “Accordi di San Andrés” (allora si allearono PRI, PA e PRD per chiudere le porte al riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura dei popoli originari del Messico), continuò a percorrere i territori tzotziles degli Altos del Chiapas, er parlare ed ascoltare. E, dopo aver ascoltato, diceva: “Bisogna resistere”.

Moisés era nato il 2 aprile 1956, ad Oventik.

Senza che se lo fosse prefissato e, soprattutto, senza guadagnarci niente, divenne uno dei capi indigeni più rispettati nell’EZLN.

Dopo pochi giorni prima della sua morte, lo vidi in una riunione del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN, dove si analizzava la situazione locale, nazionale ed internazionale, e si discutevano e decidevano i passi da fare.

Spiegavamo che una nuova generazione di zapatisti stava giungendo ad incarichi di dirigenza. Ragazzi e ragazze nati dopo la sollevazione e che si sono formati nella resistenza, educati nelle scuole autonome, sono ora scelti come autorità autonome ed arrivano ad essere membri delle Giunte di Buon Governo.

Si discuteva e concordava come aiutarli nei loro compiti, come accompagnarli. Come costruire il ponte della storia tra i veterani zapatisti e loro. Come i nostri morti ci lasciano in eredità impegni, memoria, il dovere di andare avanti, di non indebolirsi, di non vendersi, di non tentennare, di non arrendersi.

Non c’era nostalgia in nessuno dei miei capi e cape.

Né nostalgia dei giorni e delle notti in cui, in silenzio, forgiavano la forza di quello che sarebbe stato conosciuto nel mondo come “Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”.

Né nostalgia per i giorni in cui la nostra parola era ascoltata in molti angoli del pianeta.

Non c’erano risate, vero. C’erano facce serie, preoccupate di trovare insieme il percorso comune.

C’era, questo sì, quello che Don Tomás Segovia una volta ha chiamato “nostalgia del futuro”.

“Bisogna raccontare la storia”, disse il Comandante Moisés, a conclusione della riunione. Ed il Comandante tornò nella sua capanna ad Oventik.

Quella mattina del 26 settembre 2011, uscì di casa dicendo “torno subito”, ed andò nel suo campo per ricavare dalla terra il sostentamento e il domani.

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Scrivere di lui mi fa dolere le mani, Don Luis.

Non solo perché siamo stati insieme all’inizio della sollevazione e poi in giorni luminosi e albe gelide.

Ma soprattutto, perché facendo questo rapido resoconto della sua storia, mi rendo conto che sto parlando della storia di ognuno delle mie cape e capi, di questo collettivo di ombre che ci indica la rotta, la strada, il passo.

Di chi ci dà identità ed eredità.

Forse, agli specialisti del pettegolezzo coletos e simili non interessa la morte del Comandante Moisés perché era solo un’ombra tra le migliaia di zapatisti.

Ma a noi lascia un debito molto grande, tanto grande come il senso delle parole con le quali, sorridendo, mi salutò in quella riunione:

“La lotta non è finita”, disse mentre raccoglieva il suo zaino.

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IV.- Una morte, una vita.

Si potrebbe elucubrare su cos’è quello che porta le mie parole a lanciare questo complicato e multiplo ponte tra Don Tomás Segovia ed il Comandante Moisés, tra l’intellettuale critico e l’alto capo indigeno zapatista.

Si potrebbe pensare che è la loro morte, perché evocandoli li riportiamo tra noi, tanto simili perché erano, e sono, diversi.

Ma no, è per le loro vite.

Perché la loro assenza non produce in noi frivoli omaggi o sterili statue.

Perché lasciano in noi una pendenza, un debito, un’eredità.

Perché di fronte alle tentazioni alla moda (mediatiche, elettorali, politiche, intellettuali), c’è chi afferma che non si arrende, né si vende, né tentenna.

E lo fa con una parola che si pronuncia in maniera autentica solo quando si vive: “Resistenza”.

Là in alto la morte si esorcizza con omaggi, a volte monumenti, nomi a strade, musei o festival, premi con i quali il Potere festeggia il tentennamento, il nome in lettere dorate su qualche parete da abbattere.

Così si afferma quella morte. Omaggio, parole di circostanza, giro di pagina e avanti un altro.

Ma…

Eduardo Galeano dice che nessuno se ne va del tutto finché c’è qualcuno che lo nomina.

Il Vecchio Antonio diceva che la vita era un lungo e complicato puzzle che si riusciva a completare solo quando gli eredi nominavano il defunto.

Ed Elías Contreras dice che la morte deve avere la sua dimensione, e che ce l’ha solo quando si mette di fianco ad una vita. Ed aggiunge che bisogna ricordare, quando se ne va un pezzo del nostro cuore collettivo, che quella morte è stata ed è una vita.

Già.

Nominando Moisés e Don Tomás, li riportiamo, completiamo il puzzle della loro vita di lotta, e riaffermiamo che, qua in basso, una morte è soprattutto una vita.

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V.- Arrivederci.

Don Luis:

Credo che con questa missiva possiamo concludere la nostra partecipazione a questo fruttuoso (per noi lo è stato) scambio di idee. Almeno per ora.

La pertinenza delle finestre e delle porte che si sono aperte con l’andare e venire delle sue idee e delle nostre, è qualcosa che, come tutto qua, si andrà sistemando nelle geografie e nei calendari ancora da definire.

Ringraziamo di cuore l’accompagnamento delle penne di Marcos Roitman, Carlos Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Arturo Anguiano, Gustavo Esteva e Sergio Rodríguez Lazcano, e della rivista Rebeldía, che è stata anfitrione.

Con questi testi, né loro, né lei, né noi, siamo in cerca di voti, seguaci, fedeli.

Cerchiamo (e credo troviamo) menti critiche, vigili ed aperte.

Ora in alto proseguirà il frastuono, la schizofrenia, il fanatismo, l’intolleranza, i tentennamenti mascherati di tattica politica.

Poi arriverà la risacca: la resa, il cinismo, la sconfitta.

In basso prosegue il silenzio e la resistenza.

Sempre la resistenza…

Bene Don Luis. Salute e che siano vite quelle che ci lasciano i morti.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Ottobre-Novembre 2011

VI. P.S. ATTACA DI NUOVO.- Non volevamo dire niente. Non perché non avessimo niente da dire, ma perché chi ora si indigna giustamente contro la calunnia analfabeta, ci ha calunniato fino a chiuderci i ponti verso altri cuori. Ora, piccoli noi e piccola la nostra parola, solo pochi, alcuni di quegli ostinati che fanno ruotare la ruota della storia, cercano il nostro pensiero, ci cercano, ci nominano, ci chiamano.

Non volevamo dire niente, ma…

Uno dei tre imbroglioni che si disputeranno il trono sulle rovine del Messico, è venuto nelle nostre terre a chiederci di stare zitti. È lo stesso che è appena maturato e riconosce i suoi errori ed inciampi. Lo stesso che guida un gruppo avido di potere, pieno di intolleranza, che ha cercato, cerca e cercherà in altri la responsabilità dei suoi errori e schizofrenie. Con un discorso più vicino a Gaby Vargas e Cuauhtémoc Sánchez che ad Alfonso Reyes, ora predica e basa le sue ambizioni nell’amore… per la destra.

Quelli che criticavano a Javier Sicilia le sue dimostrazioni di affetto verso la classe politica, criticheranno ora la “Repubblica Affettuosa”? Quelli che predicavano che Televisa era il male da sconfiggere, criticheranno ora l’affettuosa stretta di mani col lacchè dell’orario stellare?

Octavio Rodríguez Araujo scriverà adesso un articolo per chiedere “coerenza, leader, coerenza”? John Ackerman chiederà radicalità sostenendo che è questo quello che la gente vuole e spera? Il ciro-gómez-leyva di La Jornada, Jaime Avilés, lancerà le sue camicie brune a denunciare per negoziare con i cani e gli impresari, il suo odiato López Dóriga? Il laura-bozzo di La Jornada, Guillermo Almeyra, lo giudicherà e condannerà come collaborazionista intonando il ritornello “via, disgraziato!”?

No, guarderanno dall’altra parte. Diranno che è una questione tattica, che lo sta facendo per guadagnare i voti della classe media. Bene, così niente è ciò che sembra: il presidio di Reforma non era stato fatto per chiedere il riconteggio dei voti che avrebbe reso palese la frode, ma affinché la gente non si radicalizzasse; le critiche a Televisa non erano per denunciare il potere dei monopoli mediatici, ma affinché si aprissero le porte di questa impresa (ed essere di nuovo suo cliente con gli spot elettorali). E poi? Le brigate che raccolgono soldi per il teletón?

Ma potremmo intendere che egli stia solo seguendo una tattica (rozza ed ingenua, secondo noi, ma una tattica). Che non creda sul serio che gli impresari lo appoggeranno, che i cani non lo tradiranno, che il PT ed il Movimento Cittadino sono partiti di sinistra, che Televisa sta cambiando, che il suo interlocutore privilegiato in Chiapas deve essere il priismo (come prima fu il sabinismo). Perfino che creda di essere più intelligente di tutti loro e che li imbroglierà tutti facendo finta di servirli o scambiando usi e costumi nell’impossibile gioco politico di “tutti vincono” e “amore e pace”.

Ok, è una tattica… o una strategia (in ogni caso non si capisce cosa una ecosa è l’altra). Quello che si capisce è che sta raccogliendo a destra (disertori del PAN inclusi) e che non c’è niente alla sua sinistra. Segue gli stessi passi del suo predecessore, Cuauhtémoc Cárdenas Solórzano, che si alleò con i potenti contando sul fatto che le sinistre non avrebbero potuto fare altro che appoggiarlo “perché non si poteva fare altro”. Ok, strategia o tattica, lo spiegheranno i burattini nelle loro sedi. Noi domandiamo solo: quando, in Messico, ha dato risultati positivi alla sinistra, spostarsi a destra? Quando l’essere servili con i potenti è andato oltre il fatto di divertirli? Certo, i “cagnolini” renderanno conto del successo di questa tattica politica (o strategia?), ma non si sta percorrendo la stessa strada… o no?

Nel frattempo, il gruppo di intelligentoni che lo promuove continuerà a fare equilibrismi per giustificare il cambiamento di rotta… o scommetteranno sulla smemoratezza.

In ogni modo, non mancherà chi incolpare del terzo posto, no?

Salve di nuovo.

Il Sup che fuma in attesa della valanga di calunnie che, in nome della “libertà di espressione” e senza diritto di replica, prepara l’opposizione dell’alto.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/12/07/sci-marcos-una-muerte-o-una-vida-carta-cuarta-a-don-luis-villoro-en-el-intercambio-sobre-etica-y-politica/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

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[Mexico] ASSASSINIO A CHERAN

Due abitanti della comunita’ indigena purhepecha di Cheran hanno subito un’imboscata e sono stati assassinati da un gruppo di tagliaboschi mentre stavano recintando con un filo spinato la zona denominata El Puerto o Urupan, come parte del programma di riforestazione della spianata Purhepecha. Per questo motivo gli abitanti del villaggio si dichiarano in allerta massima, con tutti gli accessi al paese chiusi e con la vigilanza raddoppiata in tutte le barricate montate dal 15 aprile 2011, data in cui decisero praticare l’autodifesa attiva dato che “dal 2008 i tagliaboschi, con la complicita’ del crimine organizzato e del governo locale, hanno devastato l’80% dei nostri boschi”.

Salvador Campanur, contadino di Cheran, conferma alla rivista Desinformemonos la morte dei due suoi compagni e l’esistenza di alcuni feriti durante l’imboscata che ha avuto luogo attorno alle 10:30 di oggi, mercoledi’ 18 aprile.

Radio Fogata, la radio comunitaria di Cheran, informa che i tagliaboschi sono di “El Cerecito, Rancho Seco y Tanaco” e che la comunita’ in questo momento “e’ costernata per questi terribili fatti, ragion per cui fa responsabili il governo statale e federale per questo indignante avvenimento”.

Le vittime, segnala il quotidiano Cambio de Michoacan, “sono state identificate come Pedro Juarez Urbina, 45 anni, e Armando Hernandez Estrad, anche lui 45 anni, entrambi originari e abitanti di Cheran”.

Giusto questo fine settimana la popolazione di Cheran ha festeggiato il primo anniversario di quella che definiscono “la sollevazione”, attraverso la quale hanno deciso di difendere i loro boschi e la vita, perche’ oltre che dai tagliboschi venivano sterminati da bande di sequestratori e ricattatori senza che il governo statale facesse niente per evitarlo.

Oggi sono tornati a esplodere i razzi di segnalazione e si respira tensione nella comunita’, dicono da Cheran.

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[Messico] Sequestrano 31 poliziotti federali nella Mixteca

SAN PEDRO NHUMI, SAN JUAN NHUMI, TLAXIACO. Indigeni di etnia mixteca del villaggio di San Pedro Nhumì, hanno sequestrato per più di 13 ore, 31 poliziotti federali, 4 pattuglie e 10 ispettori della Commissione Generale delle Telecomunicazioni (Cofetel), in seguito ad un’azione ingiustificatamente violenta da parte della polizia che aveva smantellato il radiodiffusore comunitario che trasmetteva senza permesso della federazione delle telecomunicazioni.

Il sequestro fu provocato dalla violenta incursione attuata dai poliziotti e dai funzionari della Cofetel. Gli abitanti permisero l’irruzione della polizia nella piccola comunità, dove  questi ultimi distrussero, senza dare spiegazione alcuna, le installazioni della radio comunitaria.
Dopo questa operazione il gruppo formato da poliziotti e funzionari cercò di lasciare il paese verso le 9 di mattina del martedì, però gli abitanti si organizzarono e bloccarono tutti gli accessi del paese, e comunicarono ai poliziotti ed ai funzionari che erano stati sequestrati per volontà del popolo.
Mariano José Sanjuàn, sindaco municipale, ha reso noto la violenza di questi elementi inviati dal Governo Federale: solamente hanno violato e distrutto la tranquillità degli abitanti, in quanto realizzarono l’incursione senza aver contattato le autorità locali, e inoltre senza mai mostrare un mandato per lo smantellamento della radio.
Più di 6 persone furono aggredite dagli agenti federali, tra le quali, Juana Chàvez Santiago, la quale era sul punto di essere investita dalla polizia mentre  quest’ultima cercava di uscire dalla comunità; anche Regino Sosa Lòpez e Silvano Santiago Castro furono aggrediti e costretti a stendersi al suolo di fronte a tutta la comunità con le gambe aperte, come segno d’intimidazione nei confronti della comunità stessa.
Fu così che le persone si organizzarono per impedire il passaggio del convoglio, collocando pietre e tronchi e bloccando così tutte le uscite del paese.
Successivamente, le persone trattenute furono condotte all’auditorium municipale, dove gli abitanti li hanno trattenuti dalle 9:30 del martedì fino alla mezzanotte inoltrata del mercoledì; tempo necessario per concludere il tavolo di discussione tra le autorità locali e i detenuti e per accordarne la liberazione. Tra gli accordi stipulati tra i partecipanti c’è la riparazione, da parte delle forze dell’ordine, di tutti i danni provocati e la ricollocazione del radiodiffusore ed inoltre le forze dell’ordine accettarono di non ritornare mai più in questa comunità; l’ispettore, Francisco Javier Quezada Mata, prese l’impegno di legalizzare l’emittente al fine di evitare ulteriori scontri.
L’agente municipale, Pablo Sosa Martinéz, rese noto che almeno 800 abitanti della comunità di San Pedro Nhumì, appartenente al municipio di San Juan Nhumì, nel distretto di Tlaxiaco (Oaxaca), si sono uniti per detenere il convoglio degli elementi inviati dal governo federale, accusandoli anche di violazioni dei diritti umani.
Infine, intorno alle 00:30 di mercoledì, dopo che la situazione si distese, gli abitanti mixtechi liberarono la polizia ed i funzionari.

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[Messico] Giornata di mobilitazione e protesta per l’assassinio di Bernardo Vasquez

Il giorno 21 marzo ci sono state moblitazioni in tutto lo stato di Oaxaca e nel Distretto Federale per l’omicidio del compagno e attivista Bernardo Vasquez. Solo nella città di Oaxaca ci sono state all’incirca quaranta  azioni di blocco delle strade di fronte ai palazzi e i centri di potere, per poi convergere al consolato canadese che paradossalmente, si trova situato all’interno di un hotel dove all’ingresso non c’è neanche un’insegna di riferimento. La giornata di mobilitazioni nella città di Oaxaca è stata organizzata dalla sezione 22 del magistero oaxachegno, nelle diverse sezioni locali. I componenti del direttivo di Ocatlàn  (località dove si trova la miniera Cuzcatlàn) si son dati appuntamento nella mattinata di fronte al palazzo di giustizia di Oaxaca, hanno presidiato l’ingresso senza che nessuno potesse uscire o entrare e, verso le 14, si sono spostati in corteo verso il  consolato canadese dove si sono incontrate con le altre realtà che compongono la Secciòn 22.

Tutto si è svolto senza incidenti e con determinazione  da parte del movimento che chiede senza negoziazioni la giustizia per la morte degli attivisti assassinati a S.José El Progresso, l’arresto dei suoi responsabili materiali e intellettuali, la chiusura della miniera a cielo aperto di Cuzcatlàn, e la destituzione del presidente municipale della città S. José El Progreso.

Ascolta i contenuti audio

intervista segretaria intervento rappresentante secciòn 22  

interveto rappresentante Ocatlàn seccion22

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[Messico] Visita a San Martin Caballero, Oaxaca

I giorni 10 e 11 marzo una delegazione dell’OIDHO di Oaxaca è andata ad incontrare i compagni di S. Martin Caballero sulla costa del Pacifico. L’invito è partito dai compagni di questa piccola comunità di una bellezza disarmante, composta da piccole capanne di palme in mezzo ad una foresta di palme e alberi di platano, e coltivazioni di ananas ( era la prima volta che vedevo come crescono gli ananas!) . E nonostante la bellezza del posto, dove sembri che non manchi nulla, gli indigeni di quelle terre soffrono molte restrizioni. Sulla costa che si trova a pochi chilometri è totalmente vietato a loro l’accesso da parte dei nuovi ricchi proprietari, tutti stranieri (europei, americani ed asiatici) che gli vietano l’accesso. Proibire il passaggio verso il mare ad un popolo di pescatori?!

Parlando con loro, mi dicono che vengono trattati come straccioni, come mendicanti, e a molti se cercano di passare vengono denunciati per furto (cosa ovviamente falsa) e questo tipo di reato in Messico si paga con il carcere; a vedere poi quanto tempo ti ci lasciano…la giustizia messicana non è proprio equa con gli indigeni, anzi, non vedono l’ora di colpirli più duramente possibile. Che paradosso persone che sono nate in quel posto vengono cacciate e denunciati come ladri da parte di chi gli ha usurpato la terra per costruire hotel e nuovi insediamenti turistici. Il comitato dei contadini di S. Martin ha già ricevuto minacce di morte e alcuni dei loro raccolti sono stati distrutti.
Bisogna dire,inotre, che in Messico, non esistono più comunità indigene sulle zone costiere ma sono stati mandati tutti nell’entroterra, dove sono sempre in una situazione precaria e minacciati di sgombero. La loro lotta primaria è la lotta per la terra, ma non è l’unica, un’ altra grave privazione gli è stata inferta, ovvero l’acqua. Una terra vicina al mare, una costa contornata da una laguna piena di vegetazione folta di mangrovie eppure a queste popolazioni manca l’acqua ,che è diventato un bene raro. Questa mancanza è dovuta alle intercettazioni delle sorgenti, all’abuso che fanno e che faranno gli attuali proprietari della costa. Questo tutto in nome del progresso e dello sviluppo. Altro paradosso che solo il sistema capitalista può giustificare.
Ma questa piccola comunità sa che per difendere i propri diritti bisogna lottare, ancora una volta.
Ed è per questo che hanno organizzato questo incontro; per ciò hanno chiesto ausilio all’OIDHO di Oaxaca capitale, già matura nelle sue scelte politiche.
Il primo giorno il tema trattato è stato incentrato sul concetto di autonomia.
Qui riporto un breve riassunto dei punti toccati e delle conclusioni tratte.
L’autonomia è un concetto strettamente legato a quello di libertà, intesa come libertà popolare, come decisione compartita in maniera orizzontale, senza legami a partiti o a istituzioni governamentali.
Hanno tutti l’idea ben chiara che per questa libertà bisogna lottare, bisogna passare ad una fase rivoluzionaria. Come sostenevano inizialmente Ricardo Flores Magòn e successivamente Emiliano Zapata, la rivoluzione è la lotta per la terra e per la libertà. Ma questa è una lotta continua.
Non bisogna dimenticare che l’autonomia di un popolo è intrinseca a tutti i livelli di libertà, ovvero, economica, di alimentazione e di salute. I quattro aspetti sui quali si basa sono:
- gli usos y costumbres, intesi come legge del popolo, la forma di autorganizzarsi e di autogovernarsi. L’autogoverno è inteso sempre come una questione orizzontale… Gli usos y costumbres si basano sul mutuo appoggio e sulla “mayordomìa” come organizzarsi collettivamente nei grandi eventi popolari.
- La questione della terra: il possedimento e lo sviluppo. Questa è, come accennato precedentemente, una questione spinosa perché ai contadini vengono lasciate piccole porzioni di terra incoltivabili ed aride tanto da ottenere in media solo il 50% del proprio raccolto, ed in questo caso non hanno libero accesso nemmeno a luoghi fondamentali per il loro sostentamento alimentare come la spiaggia. I ricchi proprietari terrieri hanno occupato anche i terreni federali, ovvero terreni pubblici e che devono rimanere tali, senza causare nessun intervento da parte del governo. I contadini, i pescatori e gli abitanti di queste terre lo sanno che devono lottare per riavere una porzione di libero accesso al mare, perché i loro usurpatori sono appoggiati dal governo. Vedono ogni giorno che scempio, anche a livello ambientale, si sta compiendo su questi terreni, senza alcun rispetto per il delicato e fragile ecosistema.
- Gli aspetti economici, ovvero, di che e come vivono tutte le persone della comunità, sia a livello di salute, di alimentazione, i servizi che vengono negati da uno Stato adulatore dei ricchi capitali esteri.
- La cultura, aspetto fondamentale per creare la propria identità, partendo dalla lingua fino ad arrivare alla musica ed alla danza. Anche questo è un punto cruciale della vita indigena. Queste persone vengono discriminate solo perché parlano la loro lingua natìa e non quella della colonizzazione!? La storia a volte prende proprio strane pieghe! Ed per questo motivo per la vergogna di essere nativi , vanno perdendo le loro tradizioni, perdendo così anche l’identità. Per conformarsi ad uno stile di vita liberale e occidentale (?!).
L’idea che hanno è chiara: salvare la propria cultura e l’ambiente che li circonda, ma sanno già che questa lotta non è facile, perché dall’altra parte c’è il governo, con tutti i suoi elementi coercitivi, ma loro se rimarranno uniti e se cercheranno di coinvolgere più realtà possibili potranno esercitare la volontà popolare. Non bisogna mai isolarsi nelle proprie lotte, ma sviluppare una volontà di cooperazione. Per dare un’organicità alla lotta è necessario riunirsi in assemblea dove vige l’orizzontalità e chiunque è libero di esporre le proprie idee. Un elemento di maturità politica che ho incontrato è proprio questo: il rispetto delle idee altrui senza l’attaccare o il minimizzare le idee del compagno per quanto diverse possano essere. Ma al massimo commentarle e ragionarci su insieme. Per far si che questo sia possibile l’assemblea deve essere forte e soprattutto avere delle regole.
Il secondo giorno a mio dire si è rivelato più emozionante del primo, in quanto era incentrato sulla questione di genere e sulla figura della donna all’interno delle comunità indigene, in questo caso nella comunità di S. Martin. La prima parte si è svolta con la presenza di sole donne, al fine di sentirsi più libere di parlare. Ognuna si è presentata alle altre, parlando un po’ di sé. Erano tutte bellissime nel loro orgoglio femminile, nel loro essere donne, madri, figlie.
Anche loro hanno capito l’importanza di unirsi e di discutere insieme dei problemi legati a questo difficilissimo rapporto tra uomo e donna,
All’interno delle comunità si vive ancora una situazione di profondo maschilismo dove la donna è rilegata alla casa come serva e fattrice,come mera forza lavoro nei campi, ed in nessun caso come soggetto decisionale. Sottomessa alla volontà maschile e molte volte anche alla violenza da parte di questi.
Non è libera di scegliere della sua vita e in alcuni casi anche gli usos y costumbres non permettono alle donne di emanciparsi. Voglio citare un caso in particolare, ovvero quello della comunità di Santa Cruz Ixtepec, che proprio per la sua legge popolare (usos y costumbres) le donne erano escluse dall’assemblea non godendo, così, di nessun diritto civile e politico. Di fronte a questa realtà ben lontana dai (lievi) miglioramenti apportati negli ultimi decenni dalle lotte per i diritti umani e dai diritti umani internazionali, sono le donne e le bambine indigene come le più escluse tra gli esclusi; tra i poveri, le più povere, tra gli analfabeti quelle che formano la percentuale più alta; tra i discriminati, le più discriminate; tra i violentati, le più violentate.
Le donne già da bambine soffrono discriminazioni, in quanto già ricoprono un ruolo secondario rispetto alla prole maschile, che si ritiene come saranno loro il futuro appoggio della famiglia; questo comporta che le bambine spesso vengono escluse dall’istruzione, sono trascurate e malnutrite, sono ,in altra parole, figlie di seconda categoria. E molte volte la famiglia sceglie per loro il marito in base a scambi economici e materiali o vengono vendute nel peggior dei casi. La donna intesa ancora una volta come merce di scambio.
Ricordiamo il triste caso de las muertas de Juarez(http://es.wikipedia.org/wiki/Feminicidios_en_Ciudad_Ju%C3%A1rez), uno dei capitoli più oscuri e raccapriccianti della storia messicana.
Ma forti del loro essere queste donne non si arrendono, e combattono per miglior condizioni di vita.
A San Martin Caballero si è dato inizio a un percorso di identità femminile per le componenti di questa comunità. Hanno esposto chiaramente di fronte alla società maschile cos’è ciò che vogliono: riconoscimento dei propri diritti e di maggior rispetto verso la loro persona.
Su due grandi cartelloni appesi ad una parete di una casetta fatta di bambù, hanno scritto su uno ciò che deve fare una donna e sull’altro ciò che gli uomini devono fare.
Sul primo vi era un elenco che era un manifesto della dignità femminile, dove era mensionato il rispetto per loro stesse e le loro compagne, il valutarsi come essere umani e non come classe sfruttata, il riconoscimento partendo da loro stesse dei propri diritti, la necessità di associazione e di mutuo aiuto, il non aver paura degli atteggiamenti autoritari di cui il genere maschile si fa forza, la solidarietà fra loro stesse, la costituzione di un’assemblea e dar vita ad attività collettive.
Sul secondo cartellone, si ricordava agli uomini il rispetto che devono alle loro compagne ed al genere femminile, ad abbandonare la propria violenza, il proprio maschilismo e l’inclinazione allo sfruttamento di genere.
La seconda parte è stata partecipata dai tutti i presenti dell’assemblea e si è discusso su questi punti, c’è chi ha sorriso sopra i punti indicati nei cartelloni, ma in sostanza tutti hanno riconosciuto le necessità di queste donne.
Vedremo come si svilupperà in futuro.
Ciò che posso dire da parte mia è stato un esperimento politico interessante e molto coinvolgente. Le cose si cambiano dal basso con l’unità tra gli esseri umani e la loro collaborazione.

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[ Messico] Assassinano Bernado Vàsquéz, leader del movimento d’opposizione alla miniera di Ocotlàn, Oaxaca.

Nella notte del 15 Marzo il rappresentante e leader della Coordinadora de Pueblos Unido del Valle de Ocotlàn, Bernardo Vàsquèz Sànchez è stato assassinato in un’imboscata a S. Lucia Ocotlàn. Bernardo muore nella corsa all’ospedale trasportato da un taxi. Alvaro Andrés Vàsquez Sànchez e Rosalinda Vasquez, che si trovavano insieme a Bernardo sono rimasti gravemente feriti da colpi d’arma da fuoco.
Secondo i testimoni, gli assassini erano tre uomini che si sono dati alla fuga su un auto marca Nissan di colore rosso, in direzione Ejutla de Crespo.
Gli assassini ,come i mandanti, sono ancora sconosciuti , ma sicuramente bisogna cercarli tra le file della politica che guarda in maniera ammiccante gli interessi che scaturiscono dalla costruzione della miniera a cielo aperto di Ocatlàn.
Il 19 gennaio scorso, Vàsquez Sànchez contestò duramente il governo di Gabino Cue, definendolo incapace di risolvere il conflitto che si sta consumando a San Jose del Progresso e di prestarsi agli interessi della miniera Cuzcatlàn e durante una conferenza stampa disse che fu proprio il consigliere comunale a dare l’ordine alla sparatoria che ferì due persone durante una contestazione avvenuta il 18 gennaio da parte degli abitanti della comunità di S. Jose del Progresso e gli aderenti della Coordinadora de Pueblos Unidos del Valle de Ocatlan che hanno denunciato la realizzazione dei lavori che tentavano di connettere la rete idrica della comunità per la somministrazione dell’acqua necessaria ai lavori nella miniera Cuzcatlàn. Nella sparatoria rimasero feriti due abitanti di S. José del Progreso: Abigail Vàzqquez e Bernardo Mendez Vàsquez che morì il 19 gennaio.
In un intervista per il giornale “Oaxaca en Pie de Lucha” Bernardo Vàsquez affermò che l’agressione dove perse la vita il suo compagno Bernardo Mendez Vàsquez fa parte di un piano ben strutturato e premeditato dal presidente municipale di S. José Progreso, il priista Alberto Mauro Sànchez Munhoz.
“Il loro bersaglio ero io, e confusero il compagno per me e in quanto i sicari che erano stati ingaggiati dal presidente municipale non erano del posto, non mi riconobbero e solo gli si sentì dire: “Eccolo Bernardo” e gli svuotarono addosso un intero caricatore di AK-47, l’attentato fu così crudele e sadico in quanto continuarono a sparare e gli fecero saltar via le dita della mano quando ferito, cercò di alzarsi da terra per trovare riparo dalle pallottole”.
La ditta mineraria Cuzcatlàn , filiale dell’impresa canadese Fortuna Silver che opera in S. Jose del Progresso richiede un consumo d’acqua che va dai 400 mila ai 500 mila litri giornalieri. La minieria è un vero mostro ecologico che sta distruggendo sia l’ambiente che la salute dei suoi abitanti.
Con l’assassinio di Bernardo Vasquéz Sànchez sale a 4 il numero di omicidi relazionati da quando la ditta mineraria è arrivata a S. José del Progreso. Queste morti violente sono da annettere ad una lunga lista di atroci assassini di vari attivisti ambientali come Mariano Abarca, nella località di Chicomuselo, Chiapas, morto anch’esso per essersi opposto al progetto minerario della società canadese Blackfire, Miguel Àngel Pérez Cazales, nel municipio di Tepoztlàn, Morelos, e di Santa Caterina Morelos e Beatriz Carinho e Jiri Jakkola, a San Juan Copola, Oaxaca.
Le comunità e le autorità municipali ed agrarie di Capulalpam de Méndez e los Ocotes hanno mostrato la loro solidarietà e la stessa preoccupazione per l’ingresso dei progetti minerari nella regione.
La compagnia che non ancora conclude i lavori della miniera di S. José stima, annualmente, una produzione di 5 milioni di once d’argento.
Il 17 gennaio i dirigenti della miniera canadese Fortuna Silver Mines presenziarono alla cerimonia di apertura della borsa di New York, recitando la parte dei protagonisti, per celebrare i quasi quattro mesi di bilancio positivo nella borsa newyorkese.
Questa ditta canadese, fondata nel 2004, annunciò,lo scorso novembre, che durante il terzo trimestre della sua attività fiscale (luglio- settembre) registrò un beneficio netto di 10,31 milioni di dollari.

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[ Messico] Per la libertà di Rosa Lopez prigioniera politica in Chiapas

Rosa López Díaz è una donna indigena (tzotzil) nata il 2 dicembre 1978, prigioniera in Chiapas, Messico, dal 10 maggio 2007 per un crimine di sequestro che non ha mai commesso. E’ detenuta insieme al suo compagno Alfredo López, e durante le prime ore della detenzione subisce tortura sessuale e di altro tipo, al fine di strapparle una confessione di colpevolezza. Rosa si trova a scontare una sentenza di 27 anni e 6 mesi nel carcere n. 5 di San Cristóbal de Las Casas.

PRETENDI DAL GOVERNO DI JUAN SABINES GUERRERO LA LIBERTA’ IMMEDIATA DI ROSA LOPEZ DIAZ E DEI SUOI COMPAGNI DI LOTTA!!

Ascolta l’audio dell’esposizione del suo caso davanti al Tribunale Permanente dei Popoli (TPP). Chiapas, 7 marzo 2012.

La storia della sua detenzione fa venire i brividi. Poiché al momento dell’arresto era incinta il figlio che ha partorito 5 mesi dopo, Natanael, è nato con paralisi cerebrale a causa delle torture. Così lo racconta Rosa:
“E’ stata la cosa più triste della mia vita di donna, non potrò mai dimenticare i volti di quelle persone che mi colpirono ingiustamente. La cosa più dolorosa è che al momento di questa tortura io ero incinta di 4 mesi. Ad un certo punto ho sentito qualcuno che mi veniva sopra, cercando di stuprarmi. Non ce l’ho più fatta e ho detto “Non stupratemi, sono incinta”, allora uno degli aggressori mi dice “Se confessi che l’hai fatto non ti faremo nulla”. In quel momento dissi di sì, che io avevo sequestrato la ragazza, anche se è totalmente falso”.
“Poi ho dato alla luce un bambino che si chiama Natanael López López, che è nato malato con paralisi cerebrale, oltre che deforme in viso e immobile in tutto il corpo. I dottori dissero a mia madre che il bambino è nato malato per le torture che ho ricevuto quando mi arrestarono”.
Se questo non bastasse, giusto 4 anni dopo la nascita di Natanael – nell’ottobre del 2011, in pieno sciopero della fame portato avanti insieme ai compagni di lotta in carcere – Natanael muore per negligenza medica negli ospedali del Chiapas. Un fatto del genere non si può sopportare.
Ora Rosa vive con l’altro suo figlio, il piccolo Leonardo, di tre anni. Con il passare del tempo, e principalmente per il contatto che stabilì in carcere con il professore indigeno Alberto Patishtán Gómez, ha acquisito coscienza politica sulla sua situazione e sulla lotta per i diritti umani di tutti i prigionieri politici ingiustamente detenuti, che in un paese come il Messico sono la stragrande maggioranza.
Rosa sta resistendo, nonostante il suo stato di salute debilitato – come molti suoi compagni – mantenendosi attiva e organizzata insieme ai compagni di lotta aderenti alla campagna del EZLN nelle organizzazioni di La Voz del Amate, Solidarios de La Voz del Amate e Voces Inocentes; i loro nomi sono: Alberto Patishtán Gómez, Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Alejandro Díaz Santis, Enrique Gómez Hernández y Juan Díaz López.
Il governo del Chiapas, con Juan Sabines Guerrero al potere, sta conducendo ostinatamente una guerra sporca e mediatica contro qualsiasi persona e organizzazione che lotti per l’autonomia dal principio universale della libera autodeterminazione, arrivando ad essere complice e responsabile – in maniera diretta o indiretta – della strategia di occupazione militare e offensiva paramilitare che si aggiunge al Chiapas in un territorio convulso. Nonostante tutto Sabines vuole mantenere la sua immagine pubblica impeccabile, per cercare di ottenere una poltrona all’ONU. Ci riuscirà?
Pretendi dal Governo del Chiapas e del Messico la libertà di Rosa López Díaz. Scrivi un testo con parole tue nel formulario che si trova sulla destra, o copia e incolla questo testo:

ROSA LOPEZ DIAS SI TROVA IN PRIGIONE PER UN DELITTO CHE NON HA MAI COMMESSO: PRETENDO LA SUA LIBERTA’ IMMEDIATA E INCONDIZIONATA, COSI’ COME QUELLA DEI SUOI COMPAGNI DI LOTTA.

Dalla CGT invitiamo a scrivere le parole di Rosa: “invito la società, i compagni e le compagne in lotta a continuare a pretendere la vera giustizia a cui tutta la popolazione del Messico aspira”.
Per un mondo senza sbarre né frontiere. Dove comincia la lotta comincia la libertà.
Campagna proposta dalla CGT

La lotta contro l’aids, dove rimarrà?

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