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Cherán a due anni da las fogatas

Posted by on May 13, 2013

Traduzione di un articolo di Desinformémonos

Cherán, Michoacán. La ricostituzione del territorio; il castigo ai colpevoli degli assassinii; la riapparizione dei sequestrati; il rafforzamento dell’educazione indigena e, cosa più importante, la organizzazione di un governo retto dalle autorità prescelte per usos y costumbres, che obbedisce alla gente e che sia più attento alle assemblee di quartiere rispetto la amministrazione e gestione di fondi pubblici, sono alcuni delle conquiste di un popolo che il passato 25 aprile ha compiuto due anni da quando si sono confrontati con i taglia-monti e la delinquenza organizzata che spremeva questo territorio.

Nulla è uguale a prima in questa comunità de la meseta purhépecha da due anni a questa parte. Tutto cambiò il 15 aprile 2011 ed oggi affrontano altri problemi, infatti dopo che il Tribunal Estatal Electoral si è pronunciato in loro favore ed hanno ottenuto il riconoscimento delle autorità elette per usos y costumbres, hanno il dovere di consolidare un organizzazione politica orizzontale, che non perda la sua autonomia nonostante riceva finanziamenti dall’amministrazione pubblica.

Il giorno dell’anniversario si sono organizzati i festeggiamenti nel villaggio. Artigianato, esposizioni fotografiche, tavoli di discussione, presentazioni di libri, messaggi politici, sfilate della ronda comunitaria, sono alcune delle attività che hanno dimostrato l’orgoglio di un villaggio che si pone come esempio di organizzazione per affrontare, dal basso, le bande criminali che operavano con il tacito consenso dei tre livelli di governo. Però non è stato affatto facile e su questo sono d’accordo Salvador Torres, José Guadalupe e Juan Navarrete, comuneros di Cherán.

“Esigiamo giustizia per i nostri compagni caduti e fatti sparire”, recita uno striscione di fianco il Chiostro. È che, spiega Navarrete Moreno, integrante del Consejo de Procuración y Conciliación de Justicia, “fino ad ora lo Stato non ha consegnato i responsabili di assassinii e sequestri. Ci sono 4 desaparecidos e 17 assassini senza che sia fatta chiarezza, senza che venga fatta giustizia, senza che si faccia nulla”, accusa il comunero.

Salvador Torres coincide: “A Cherán la Procura è stata impossibilita dalla sua propria burocrazia e dagli interessi legati ai gruppi criminali, a fare giustizia. Vogliono che passi il tempo necessario per archiviare i processi in sospeso”.

La immagine della comunità è un’altra. Il 15 aprile 2011 il villaggio era messo a ferro e fuoco. Migliaia di persone facevano turni di guardia nelle emblematiche fogatas (falò) e nelle barricate che si collocarono negli accessi al villaggio, nessuno entrava o usciva senza autorizzazione. La devastazione di più dell’80% dei suoi boschi, le estorsioni e i sequestri di cui erano vittime, li fecero reagire quando i taglia-boschi si volevano accaparrare le risorse della sorgente de La Cofradía. Fu quello il momento in cui donne e uomini si unirono per scacciarli dal proprio villaggio.

Oggi, al posto delle barricate, ci sono Posti di Vigilanza fatti di mattoni. Gli integranti della ronda comunitaria, che apparivano col volto coperto e con “scoppette” e pali, oggi hanno un uniforme, sono armati e ricevono un compenso ufficiale per il loro servizio. La questione, riconosce Navarrete Moreno, è che “la ronda non si trasformi in un semplice organo di sicurezza pubblica”, il che significherebbe la loro perdizione e presto o tardi diventerebbe il nemico.

Questa situazione, aggiunge l’integrante del Consejo de Procuración y Conciliación, “si può evitare con la formazione politica. E questo è un lavoro che deve svilupparsi in seno alla stessa comunità”.

Senza dubbio, oggi le ronde funzionano. Formate da 95 uomini della comunità che proteggono le tre entrate al villaggio: Nahuatzén, Paracho y Zamora, dove ci sono i Posti di Vigilanza. Di notte pattugliano le strade sterrate ed i boschi e due gruppi realizzano pattugliamenti all’interno del villaggio. Per tutti gli intervistati, questo ha coinciso con la diminuzione della distruzione dei boschi di un 80-90%; lo stesso vale per rapine ed altri atti di delinquenza come le estorsioni. La vita è cambiata.

“Ed anche se ci sono ancora persone che tagliano la legna dei boschi”, riconosce il prof. José Guadalupe, integrante del Consejo Mayor, “nulla è come prima”. Le questioni in gioco adesso sono altre, tra cui il Piano di Sviluppo Municipale, la sicurezza e la giustizia, la ricostituzione del territorio, dimostrare che questo tipo di governo orizzontale funziona meglio di quello verticale e, cosa più importante, lo sviluppo di un sistema educativo che è la colonna vertebrale della comunità tutta.

Un altro problema, continua il professore, è rappresentato dai partiti politici. Ora dice, “non solo dobbiamo stare attenti alla criminalità ma anche ai partiti che cercano la maniera di dividerci”.

Riguardo la ricostituzione del territorio, spiega, che questo è un lavoro di lunga durata, “infatti non si tratta solo di recuperare i boschi, ma anche l’acqua, gli animali, le montagne, i luoghi sacri, le vallate e la cosmovisione del nostro popolo. Questo è un lavoro che compete a tutta la comunità”.

Salvador Torres aggiunge che lo Stato è obbligato a ristabilire l’attività agricola e d’allevamento che sono andate perse a causa della politica di insicurezza e violenza messa in campo nel passato sessennio e che continua fino ad ora. In questi due anni lo Stato ha fatto solo due riforestazioni, però manca ancora recuperare un’enorme varietà di flora e fauna. Si tratta di prendere sul serio e tenere in conto la forma di relazione che hanno le comunità con le risorse naturali. Cosa che non è avvenuta”.

“Noi”, segnala il prof. Guadalupe, “diciamo che non si tratta che il governo ci aiuti, ma chi ci lasci in pace. La comunità va ricostituendo il suo territorio però molte volte i progetti governativi hanno un costo enorme, vale a dire che molte cose che ci danneggiano, come i partiti politici ed altre cose che non hanno nulla a che fare con noi”.

Riguardo l’educazione, un gruppo di maestri che lavorano nelle istituzioni educative stanno realizzando un progetto che tiene conto del contesto in cui si trovano le scuole, della lingua purhépecha e delle cultura, come ad esempio le piante medicinali, la sapienza dei più vecchi, etc.

Quello che aspetta a Cherán, segnala Torres, avvocato e partecipante del Congresso Nazionale Indigeno (CNI), è fare in modo che la partecipazione del villaggio torni ad essere integrale, con uomini, donne e bambini, perché ci sono stati momenti in cui alcuni erano dubbiosi. Nelle assemblee ci sono donne e uomini e non esiste questa cattiva influenza dei partiti politici che provano a sabotare questa forma organizzativa. “E’ molto più naturale una democrazia in cui partecipino tutt@. Questo è l’obbiettivo a cui aspiriamo”.

 

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