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La istituzionalizzazione della Polizia Comunitaria segnerebbe la sua morte

Posted by on febbraio 22, 2013

Da un articolo di Desinformemonos

San Luis Acatlán, Guerrero. Nel territorio della Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias (CRAC-Polizia Comunitaria) non c’è spazio per dubbi: “Rifiutiamo in maniera assoluta il decreto del governatore che pretende regolamentare la Polizia Comunitaria”, ha dichiarato a nome del sistema autonomo di giustizia Eliseo, comandante della zona Costa Chica, durante un incontro per la difesa della giustizia autonoma. Il governatore dello stato di Guerrero, Ángel Aguirre Rivero, ha presentato all’inizio di febbraio un decreto che vorrebbe regolamentare i diversi gruppi di auto-difesa popolare nati negli ultimi mesi.

Integranti della CRAC fanno presente che i funzionari statali hanno argomentato che tale legge non danneggerebbe la Polizia Comunitaria, ma è rivolta agli altri gruppi, “ma non esistono leggi per alcuni e per altri no”, sottolinea Gelasio, coordinatore regionale e consigliere della CRAC di 70 anni.

Se questa legge passasse un sistema che esiste da 17 anni [NB. 1995], comprende più di cento comunità e che si occupa non solo della detenzione dei presunti delinquenti ma anche di impartire la giustizia, della ri-educazione in accordo agli usos y costumbres delle stesse comunità, diventerebbe ausiliario dallo stato e la propria funzione sarebbe limitata a consegnare le persone catturate al Ministero Pubblico.

I Comunitari segnalano che uno dei problemi che aveva dato origine a questo corpo di sicurezza era stata proprio l’inefficienza e la corruzione dell’apparato di governo responsabile della sicurezza e della giustizia. Visto il rischio che questo decreto passi, hanno organizzato un incontro in difesa del proprio sistema di giustizia tenutosi il 17 febbraio.

Per Gelasio, che fu tra i fondatori della Polizia Comunitaria in seguito allo shock per lo stupro subita da una vicina nel suo villaggio, convertirsi in ausiliari dello stato demolirebbe l’essenza stessa della Comunitaria, vale a dire: la polizia obbedisce al popolo e non al governo. Inoltre l’introduzione dei soldi in questo sistema romperebbe il suo carattere di servizio dato alla comunità sia da parte dei poliziotti che della autorità autonome.

La crescita della CRAC

La Polizia Comunitaria, nata nel 1995 e chiamata tre anni dopo Coordinadora Regional de Autoridades Indígenas, nacque per risolvere i delitti impuni di furti di bestiame (spesso per mano di grandi allevatori), assalto e stupri; fu proprio questo ultimo punto che fece accendere la miccia che portò alla CRAC

La Polizia Comunitaria vide la luce dopo due anni di lavoro previo in tutta la zona per discutere su come si sarebbe organizzata. “Ci è costato molto costruire quello che abbiamo oggi”, ricorda Gelasio. La efficienza delle indagini, la rettitudine delle autorità, il fatto che “non si guadagna un solo peso per ottenere giustizia”, segnale il consigliere Armando, ha fatto si che rapidamente crescesse la fiducia in questo sistema di giustizia e che sempre più comunità chiedessero di entrare a farne parte.

Nel 2008 si crearono quattro Case di Giustizia perché quella di San Luis Acatlán non bastava per rispondere alla domanda. “E’ faticoso, c’è gente tutto il giorno che non si rivolge più al Ministero Pubblico per fare le sue denunce”, dice Gelasio sorridendo.

Più di 100 comunità formano questo sistema di giustizia e le richieste di incorporazione non si fermano. Il consigliere della zona di Ayutla, Rufino, informa che in solo quattro mesi le assemblee passarono da 23 a 40 “e ce ne sono altre che stanno richiedendo la partecipazione”, sottolinea il giovane mixteco. Proprio per il suo 17° anniversario (lo scorso novembre 2012), il territorio di influenza della Comunitaria è cresciuto del 70%.

Nel 2012, nonostante non fossero incorporate nella CRAC, in altre regioni si sono create le proprie polizie, fraternizzando con questo sistema di giustizia: Huamuxtitlán, Temazcaltzingo e Olinalá sono alcune di queste.

Riguardo il conflitto con la Unión de Pueblos y Organizaciones de Guerrero (Upoeg), segnalano che se vogliono formare la propria polizia non c’è nulla di male, “però senza parlare a nome della Comunitaria; se vogliono farne parte devono sottostare al regolamento e agli usos y costumbres”, indica un poliziotto della Costa Chica.

Il cuore della giustizia

Poliziotti, comandanti, coordinatori, consiglieri sono d’accordo sul fatto che l’essenza di questo movimento sia quella di emanare giustizia rispettando gli usos y costumbres “e le necessità della gente”, segnala un poliziotto della Costa Chica. “Questo nacque proprio perchè non c’era speranza di ottenere giustizia”, continua il consigliere.

Gelasio mette in risalto che nel sistema di giustizia autonomo non si guadagna nulla per impartire giustizia, “ne si fanno multe, perché dall’altro lato (l’istituzionale) la giustizia è solo per chi ha i soldi”. Nei casi di debiti si fa in modo di trovare la maniera di recuperare il credito, però è proibito porre interessi “affinché non ci siano abusi”, chiarisce.

Il fondatore della Coordinadora fa presente che i poliziotti e le autorità sono proposti e appoggiati dalle assemblee, fondamentalmente “perché si fanno onore e non mancano mai alle assemblee”. Armando segnala che tutti gli incarichi fanno parte del servizio che devono dare agli abitanti del territorio della comunità di cui fanno parte. Si può essere topil (una sorta di tuttofare al servizio della comunità), poliziotto semplice, comandante, commissario o coordinatore; una volta assunto quest’ultimo incarico la persona diventa consigliere “per il fatto di aver già esperienza che dovrà condividere; il servizio non finisce mai”, chiarisce Armando.

Gli abitanti delle varie zone apprezzano il lavoro di questi poliziotti e gli portano acqua e alimenti “capita che ci ritroviamo a lavorare senza acqua né cibo”, indica il poliziotto. “La gente riconosce che si tratta di qualcosa di differente e per questo si muove per difenderlo”, appunta Gelasio.

Un attacco che ritorna

I Comunitari non dimenticano i precedenti tentativi di disarticolare la loro organizzazione. “Ricordiamo soprattutto l’ultimatum di René Juárez”, quando furono emessi degli ordini di cattura contro le autorità comunitarie. E non dimenticano le volte in cui le autorità poliziesche dello stato li hanno disarmati “però sempre ricompriamo le armi”, sorride un altro poliziotto comunitario.

Pareva che la escalation di aggressioni si fermasse nel 2011, quando la legge 701 -fatta senza un accordo con le comunità- riconobbe il sistema di giustizia. Ma il nuovo decreto segna un ritorno al passato, dice un comandante.

La posizione dei Comunitari si riassume in uno striscione portato dalle autorità nella manifestazione: “Non vogliamo un decreto, già abbiamo il nostro regolamento interno!”.

Questo decreto governativo proibisce espressamente l’applicazione dei processi di ri-educazione o le sanzioni, il processo ai detenuti, la detenzione al di fuori della flagranza del delitto, fra le varie mansioni della CRAC. Inoltre, minaccia con sanzioni l’applicazione di tali azioni.

Se il decreto fosse applicato, le conseguenze sarebbero funeste, assicurano le autorità. “Sarebbe peggio di prima” dice Gelasio. “Ognuno si difenderebbe come può e per proprio conto e questo sarebbe un massacro”, aggiunge.

Eliseo, comandante, fa presente che il governo sta commettendo un grave errore proponendo questo decreto senza aver consultato le necessità della gente. “Vogliono integrarci in un sistema che già ha dimostrato il suo fallimento; inoltre loro stessi sono collusi con la delinquenza organizzata”, dice.

I poliziotti ricordano che nel 2005 si rispose alle aggressioni statali con una grande marcia. E adesso, dice Gelasio, “la politica del governo cerca in qualche modo di mettere fine alla Comunitaria”. Ma la gente sa che ci sono degli interessi in gioco, infatti il territorio della Comunitaria si è dichiarato libero dalle miniere nel 2012; ma da queste parti le persone sono ben organizzate e informate e difficilmente andranno in porto i progetti di tre miniere che andrebbero a danneggiare praticamente tutta la regione della zona della Montaña. La manifestazione del passato 17 febbraio a San Luis Acatlán, con centinaia di autorità e poliziotti è solo un passo della resistenza contro questo decreto e le miniere.

“Non lo permetteremo e resisteremo fino alla fine” conferma Eliseo e continua: “Preferiamo morire che vivere schiacciati dal crimine organizzato e il governo”.

Il conflitto

Durante l’incontro ci si appella affinché la UPOEG, organizzazione che ha fatto testa agli ultimi sollevamenti contro la delinquenza nel municipio di Ayutla de los Libres,  “non produca ulteriori divisioni” tra i villaggi. Diversi abitanti e autorità hanno avanzato sospetti sui motivi che sarebbero dietro questo conflitto, da ambizioni elettorali ed economiche fino “alla necessità di cautelarsi dal narcotraffico”, senza che però ci fosse una apertura pubblica.

Ai poliziotti ed alle autorità ha indignato che la UPOEG, “una organizzazione nata per gestire finanziamenti” sviluppasse azioni a nome della CRAC senza avere commissioni o rappresentatività rispetto ad essa. Sono d’accordo sulla legittimità di non sopportare più la violenza e il crimine, però “perché si fanno passare con un nome che non è il loro?” si chiede un poliziotto della comunità di Capulín Chocolate. “Questo non è né sano né corretto e poi loro non hanno le stesse abitudini, leggi e caratteristiche” della Comunitaria e del suo regolamento, aggiunge.

Nella plenaria della riunione si è segnalato che sebbene due dirigenti della UPOEG  funzionano come consiglieri della CRAC (incarico a cui arrivano tutti i coordinatori del sistema di giustizia) “non avevano nessun mandato per organizzare sollevamenti” segnala il poliziotto di Capulín. “Speriamo che questa storia si risolva e che possano aderire, però non con i loro requisiti attuali” aggiunge. Inoltre il consigliere di Ayutla, denunciò alle autorità della CRAC, che la Unión aveva emesso mandati di cattura contro di loro.

E sulle voci che dicono che la CRAC sia manipolata da gente esterna, un comandante afferma che “sono solo chiacchiere; noi lavoriamo secondo le regole e le decisioni della nostra gente e non siamo pistoleros al servizio di nessuno”, esclama indignato.

Nella plenaria della riunione emerge che il timore delle autorità è che se i diversi corpi di autodifesa non sono formati da poliziotti nominati dalle assemblee e che se non funzionano sotto un regolamento comunitario, possano diventare pistoleros al servizio di caciques (capoccia mafiosi) o di interessi privati.

Al microfono intervengono una decina di organizzazioni (di maestri, indigene e popolari) che si trovavano all’incontro per manifestare il loro appoggio al sistema di giustizia, oltre ad alcuni rappresentanti di comunità che erano lì per chiedere informazioni sulla maniera di aderire al sistema di giustizia. “Non vogliamo più stare come stiamo, vediamo come funziona la CRAC ed è quello che vogliamo”, segnala un abitante di Juchitán.

Per il 23 febbraio è programmato il cambio delle autorità (tutti gli incarichi sono a tempo determinato e rotatori). Abitanti e autorità sperano che la unità della loro organizzazione si rinforzi. Pare che alcune comunità non ancora integrate nella Coordinadora proveranno ad entrare a far parte dell’assemblea.

“Non avevo mai pensato a fare il poliziotto” dice un uomo della Costa Chica. “Però ti fa sentire bene contribuire col tuo granello di arena a far funzionare la sicurezza; il patrimonio del sistema di giustizia comunitario va difeso per questo”, conclude.

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