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Sangue, impunità e un paese degradato, l’eredità di Felipe Calderón

Posted by on settembre 3, 2012

Fonte:http://desinformemonos.org/2012/09/sangre-impunidad-y-un-pais-arrasado-la-herencia-de-felipe-calderon/print/

2 settembre 2012.

Messico DF. Morti, sparizioni, impunità, ingiustizia, povertà, insicurezza, disoccupazione e mancanza di opportunità sono ciò che hanno lasciato al paese, i sei anni del mandato di Felipe Calderón, tutt@ daccordo nelle interviste con Desinformémonos Trinidad Ramírez, del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra, di Atenco; Salvador Campanur, della comunità di Cheran; Abel Barrera, antropologo e direttore del Centro di Diritti Umani Tlachinollan, della Montagna di Guerrero; e Michel Salas, avvocata e difensora dei diritti umani, del collettivo Nuestras Hijas de Regreso a Casa, di Ciudad Juárez.

Appena salito al potere, il dicembre 2006, Felipe Calderón, la cui amministrazione si concluderà fra 90 giorni, cominciò una “guerra contro il narcotraffico” come parte di una strategia per legittimare la sua presa del potere, che era stata fortemente messa in dubbio. Un sessennio dopo, le gravi conseguenze della sua strategia fallita, ha lasciato un paese inondato di sangue, con più di 70.000 morti sulle spalle.

“Il bilancio che come popolo messicano ci rimane di questo governo che sta finendo, è che stiamo sempre peggio. Felipe Calderón cominciò una guerra chiamata “contro il narco”, però la verità è che questa guerra è contro di noi, vale a dire che si è attuata una terribile violenza contro il popolo”, sostiene Trinidad Ramírez, figura emblematica della difesa che dall’anno 2000 gli abitanti di Atenco, nello Stato del Messico, hanno messo in atto contro i tentativi di privazione del loro territorio per la costruzione di un aeroporto.

“Messico sta venendo saccheggiato e aggredito. Il saldo che questo governo lascia è di moltissime sparizioni, assassinii, insicurezza, disoccupazione, privatizzazione dell’educazione e della salute e sempre più povertà. Invece di migliorare o superare tutto quello che abbiamo già vissuto, tutto ciò che andava male si è intensificato, dopo l’imposizione di Felipe Calderón”, aggiunge Ramírez del Valle.

Anche per i popoli indigeni del Messico, il panorama è negativo: “Il sessennio di Calderon non è stato altro che l’applicazione della legge foxista, che è una legge di morte per noi. Durante questo mandato si è concretizzata la pratica dell’oblio, le sparizioni, gli assassinii e le incarcerazioni per la gente comune, umile, gli indigeni. Vediamo che l’insicurezza continua. Non ha portato nulla di buono questo sessennio ai popoli nativi”, assicura Salvador Campanur.

Nella comunità purhépecha di Cherán, nello stato di Michoacán, da un anno e cinque mesi i suoi abitanti -stanchi dei taglia-monti che distruggevano i loro boschi e delle autorità che appoggiavano e coprivano i gruppi criminali- i comuneros, con in testa le donne, hanno ripreso le loro forma tradizionali di governo, per darsi da soli la protezione e la giustizia che lo Stato gli aveva negato.

“Noi continuiamo ad esigere che si castighino i responsabili di tutto ciò che si è distrutto nelle comunità come la nostra, perché è in ballo la vita o la morte dei nostri compagni. La nostra lotta è per la vita, però il governo invece di offrire protezione ed aprire le porte della giustizia, solo ci da sangue”, sottolinea Campanur.

Il comunero ricorda anche, che da quando entrò in vigore il Trattato di Libero Commercio, nel 1994, i governi hanno modificato la Costituzione – soprattutto l’art.27 che tratta della proprietà della terra- per facilitare l’applicazione della privatizzazione, del furto, e dello sfruttamento del nostro territorio”.

In materia di diritti umani, la cifra dei morti e desaparecidos e, soprattutto, la maniera in cui la popolazione è stata sottomessa dal crimine organizzato, da un bilancio terribile per il paese, spiega Abel Barrera, antropologo e direttore del Centro di Diritti Umani Tlachinollan, a Guerrero. “Dal punto di vista dalla Montagna –una regione dove povertà e violenza continuano a peggiorare- la situazione è molto grave, in quanto si è rotto il tessuto comunitario dei villaggi e si è generata una mancanza di fiducia verso gli organi investigativi, gli incaricati della sicurezza pubblica e verso chi ha l’obbligo di impartire la giustizia. Come dire, che non c’è stata giustizia per il cittadino, non gli si è dato caso. C’è un debito enorme di questo governo verso le vittime e, la cosa più crudele è che si è lasciata alle spalle una legge per accudire i reclami delle vittime”.

Nell’ambito di una politica belligerante, l’aumento della militarizzazione nel paese è indicativo del fatto che solo aumentarono i morti e gli scontri e che questa strategia non ha lasciato saldi positivi, affinché le vittime abbiano accesso alla giustizia. Sono aumentati le violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito e non c’è stato modo di garantire che i crimini dei militari arrivassero di fronte la giustizia civile. Nonostante le sentenze della Corte Interamericana, continua a regnare la protezione verso l’esercito.

Barrera avverte che per quanto riguarda le desapariciones adesso non si investiga, ma si tende a criminalizzare o screditare le persone che sono sequestrate. “E’ un saldo grave quello che lascia Calderón, in tutti i sensi, ma soprattutto sul tema della giustizia e della mancanza di rispetto ai diritti umani. Oggi la gente non crede negli organi di giustizia, ha paura delle operazioni poliziesche e sanno che l’esercito non è stato di aiuto per proteggere la gente ma ha innescato un circolo di violazioni dei diritti sulla sicurezza e l’integrità fisica”.

Sul tema dei femminicidi la amministrazione che sta arrivando al termine, lascia un altro sessennio senza che i colpevoli siano stati processati, posti a giudizio o arrestati. In un’intervista a Desinformémonos, l’avvocata e difensora dei diritti umani Micheel Salas, spiega che le famiglie delle vittime che sono state assassinate continuano ad aspettare giustizia e le famiglie delle giovani desaparecidas –che sappiamo sono vittime delle reti della tratta- continuano ad aspettare che le loro figlie siano ritrovate.

Nei giorni scorsi si è inaugurata a Ciudad Juárez una scultura in ricordo delle vittime della violenza di genere. La inaugurazione del monumento forma parte delle risoluzioni prese dalla Corte Interamericana –il massimo tribunale dei diritti umani a livello interamericano- nel 2009, riguardo il caso emblematico di Campo Algodonero. In quella occasione, un gruppo di familiari delle vittime di femminicidio e di sparizioni di donne, irromperono nell’atto, manifestando ed esigendo che si cercassero le loro figlie e che i colpevoli fossero sanzionati; però alla fine dell’atto il Segretario di Governo,- rappresentante del governo messicano- si limitò a dire: Sappiamo che c’è molto da fare” però “sappiamo che in 90 giorni difficilmente riusciremo a risolvere tutto”, segnala Micheel Salas. Inoltre assicura che nel caso di Ciudad Juárez, “la strategia di Calderón di mettere i militari nelle strade ha provocato un aumento delle donne assassinate” dal 1993 ad oggi, sono state assassinate più di 1300 donne nell’entità. Dal 2007, anno in cui cominciò l’ Operativo Conjunto Chihuahua Seguro, aumentò la presenza di militari e federali nello stato e sono morte più di 700 donne. A questo va aggiunto il fenomeno allarmante delle desapariciones di donne e bambini.

La consegna del Sesto Informe del Governo di Felipe Calderón, coincide con la designazione ufficiale di Enrique Peña Nieto come presidente del Messico, da parte del Tribunale Elettorale, un fatto che ha provocato proteste nella camera dei deputati e diverse mobilitazioni, tanto a Città del Messico, come nel resto del paese.

Abel Barrera avverte che con l’arrivo di Enrique Peña Nieto alla presidenza “si va ad accentuare la situazione che viviamo nel paese, cioè maggiore polarizzazione, tensione, soprattutto per quanto riguarda il tema della giustizia, un rafforzamento delle politiche securitarie e una maggiore presenza dell’esercito. Vale a dire, si sviluppa uno scenario poco positivo per le vittime. Non è stata formata un’agenda e né si sta lavorando con impegno per far fronte alla situazione in cui si trovano migliaia di vittime”.

Con tutto il sistema di sicurezza ormai collassato e senza che esista la minima intenzione di ripulire a breve le corporazioni poliziesche da parte dello Stato, “ si avrà maggiore protezione per chi viola i diritti umani e continuerà la tendenza di criminalizzazione dei difensori dei diritti umani ed i movimenti sociali, e questi dovranno continuare a lavorare controcorrente”, spiega l’antropologo.

Il direttore del Centro di diritti umani avverte che a causa dello “scontento sociale generato per la mancanza di accesso alla giustizia, durante il governo di Peña Nieto potrebbe esserci un incremento dell’uso della forza per mettere fine alle organizzazioni e cercare di soffocare qualsiasi inconformità sociale. Questo è lamentabile per chi fa un lavoro di accompagnamento alle vittime in termini di giustizia, insomma non c’è nessuno spiraglio di opportunità affinché abbiano fiducia sul fatto che vengano ascoltate le loro richieste”.

Salvador Campanur coincide con il pronostico negativo di Abel Barrera. “Pensiamo che il governo che ci attende, con Peña Nieto, non sia altra cosa che il continuamento delle politiche di sfruttamento, appropriazione indebita e privatizzazione nel paese di tutte le risorse naturali, umane ed economiche. Non ci aspetta nulla di buono, se non la continuazione delle politiche saliniste: privatizzazione, globalizzazione e vendita del territorio”.

Intanto, da Atenco, Trinidad Ramírez del Valle ricorda che Enrique Peña Nieto “è il responsabile delle violenze sessuali alle nostre compagne e degli assassinii di Alexis Benhumea e Javier Cortés”, ed assicura che “se non restiamo uniti e organizzati, succederà ad altri movimenti quello che ci è successo ad Atenco”.

“Sappiamo che restiamo sotto attacco, perchè Peña Nieto cercherà di riprendere il progetto dell’aeroporto, cercherà in tutti i modi di appropriarsi della nostra terra, della nostra storia e della nostra vita, però noi continueremo a lottare con valore e coraggio e soprattutto, dobbiamo convincere altri compagni del fatto che bisogna lottare da questo lato, non dalla parte di chi regala una maglietta, un cappello o una penna. La lotta è dei popoli”.

Traduzione: La PIRATA

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