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[Mex-Articolo]Giornate Anticapitaliste a Cheran, 24, 25, 26, 27 di Maggio

Posted by on Juni 9, 2012
L’Incontro Nazionale delle Resistenze Autonome Anticapitaliste
a Cheran, Michoacan.
Cronaca dell’incontro

Il sollevamento della comunità di Cheran K´eri, Michoacan, il 15 Aprile del 2011 e il processo di auto-governo in corso è fonte di ispirazione per molte persone, una forte resistenza da difendere e un’esperienza da cui apprendere. Per questo durante i giorni 24, 25, 26 e 27 maggio del 2012, circa 500 persone di 15 città del Messico e 11 paesi del mondo hanno costruito un accampamento nella periferia di questo paese purhépecha come partecipanti all’Encuentro Nacional de Resistencias Autónomas Anticapitalistas. L’idea era di sostenere la comunità di Cheran e condividere esperienze di costruzione dell’autonomia, possibilità di auto-organizzazione e modi di vivere in armonia con la natura.

Nelle vie del paese si sono sentiti, durante le tre manifestazioni svoltesi, gli slogan: “Cheran, fratello, il popolo ti da una mano!” “Cheran, amico, il popolo sta con te!”

Durante l’inaugurazione, il Consiglio Maggiore di Cheran ha dato il benvenuto alla gente riunita nella piazza principale e il tatá Jose Merced ha sottolineato che questa non è stata la prima volta che Cheran insorge. Già durante la rivoluzione messicana, Cheran si ribellò con le armi. “Ora nel nuovo governo popolare di Cheran, i K’eri sono i consiglieri di governo nominati dal popolo, facendo da parte i partiti politici e i dirigenti che hanno cercato solo di conquistare il potere. Ma questo a Cheran non succerà più! Vi riceviamo col cuore aperto, senza distinzione di età. Perché la gioventù la portiamo nel cuore… siamo giovani nel cuore e nell’anima; sempre giovani… siamo guerrieri e guerriere eterni”.

Nell’atto dell’inaugurazione la compagna Eduarda di Radio Ñomndaa ha letto un documento sull’autonomia parlando di Cheran come esempio di lotta, di dignità e resistenza. È stata letta anche una dichiarazione della Red de Resistencias Autónomas Anticapitalistas, che definisce quattro punti di resistenza: bloccare il capitale; mettere fine alla guerra contro il popolo del Messico; difendere la Madre Terra e costruire autonomie. Sono stati letti messaggi di appoggio di Occupy Oakland e degli indignati di Barcellona. E stato richiesto un minuto di silenzio in onore dei dieci contadini assassinati per la loro lotta in difesa dei boschi e della comunità e si è realizzata una cerimonia tradizionale nella quale quattro ragazze hanno presentato la bella bandiera della nazione purhépecha con il simbolo del grande fuoco nel centro e la scritta “Juchari Uinapikua”, cioè “Nostra forza”.

Lo stesso pomeriggio nella piazza centrale si è tenuta la prima conferenza con la partecipazione della Brigada Callejera, FPFVI-UNOPI (Frente Popular Francisco Villa Independiente – Union Nacional de Oganizaciones Populares de la Izquierda Independiente) e Radio Ñomndaa, collettivi con anni di esperienze in percorsi di resistenza, autonomia e auto-organizzazione: il primo cominciò con la organizzazione delle lavoratrici sessuali nella zona della Merced nel Distretto Federale e ora conta collettivi in 28 stati della Repubblica, il secondo lavorando nella lotta per la casa e nella creazione di spazi culturali e educativi nei quartieri del Distrito Federal, e il terzo nella formazione del municipio autonomo di Suljaa’ nella Costa Chica di Guerrero e la creazione di una radio in lingua Amuzgo, Radio Ñomndaa, La Parola dell’Acqua sotto una pesante repressione dei mafiosi locali e governi di tutti i colori.

Nei giorni seguenti si sono realizzate cerimonie del fuoco, laboratori, tavoli di discussione, assemblee, proiezioni video e programmi culturali con musiche e danze tradizionali di Cheran integrate da rap, reggae dub e ska.

Il 26 di Maggio, nel pomeriggio, si è tenuta una conferenza con la partecipazione di Ignacio del Valle di San Salvador Atenco, che ha ricordato le parole del capo della Polizia Federale: “Fatevi da parte perché adesso facciamo piazza pulita”. Però, dice Ignacio, “Noi decidemmo di non farci spazzar via. La nostra memoria non dimentica l’aggressione… però bisogna camminare uniti e non arrendersi mai”. Si sono ascoltate le parole dei giovani di Radio Fogata e della Ronda comunitaria, come quella degli integranti del Consiglio Maggiore di Cheran che hanno raccontato che la comunità era rimasta divisa, a causa dell’indolenza e dell’egoismo, tra sei partiti che permisero la distruzione del bosco, dell’acqua e la vita comunitaria fino a che un gruppo di donne coraggiose e di giovani misero fine agli abusi. Sottolineando che ora non ci sono leader a Cheran, in questo posto dove “difendere un albero è difendere la vita”.

Il pubblico è esploso in un applausi quando è salita sul palco la compagna Angelina, che ha ricordato che prima del 15 Aprile del 2011, la gente non poteva andare di notte per strada. “Dovemmo agire per i nostri figli”. Dopo aver cacciato i saccheggiatori, passammo molte notti al freddo nelle fogatas (bivacchi/picchetti) in difesa della comunità. Prima avevamo molta paura però oggi sono contenta perché procediamo bene e siamo più liberi”. Ha continuato Alicia, parte della Comissione di Dialogo, che ha parlato della maniera in cui un pugno di donne ruppe la disperazione e l’umiliazione e divenne la punta di lancia della difesa dei boschi e della comunità.

Durante il foro l’antropologo Gilberto Lopez y Rivas ha ricordato la penetrazione della polizia militare degli Stati Uniti in Messico e della sua strategia imperiale. Ha detto che a Cheran si può comprendere come l’autonomia è un punto autentico della lotta contro il narcotraffico però che l’autonomia non sempre e di per se è positiva. Bisogna darle contenuto. E la chiave è l’auto-trasformazione dei soggetti in attori politici.

L’incontro è terminato domenica 27 maggio con un altra animata manifestazione (la terza) partita dall’accampamento, alla quale un gruppo di comuneros (contadini) si è unito ballando allegramente in file che serpeggiavano nelle strade al suono dell’orchestra di Cheran.

Alla chiusura dell’incontro, i partecipanti si sono dichiarati a favore della libertà dei prigionieri politici Alberto Patishtán Gómez y Francisco Sántiz López, hanno chiesto giustizia per il Municipio Autónomo de San Juan Copala e condannando lo sgombero dello squat Altepetl nel Distretto Federale. Hanno ribadito l’appoggio a Cheran e approvato una proposta della Red de Resistencias Autónomas Anticapitalistas per una giornata nazionale di solidarietà con il popolo di Cheran.

Interviste sull’insurrezione di Cheran

Guille, donna di Cheran

“Quel giorno era molto presto. Ancora molti non si erano alzati. Fui una delle prime a presentarsi alla chiamata.Ero preoccupata dal rumore di tanti fuochi d’artificio nell’area dove iniziò il conflitto. Qui abbiamo l’abitudine che quando qualcosa di grave succede nella comunità, si avvisa con l’utilizzo di petardi. Quando la gente li sente, automaticamente conta quanti petardi stanno esplodendo. Se ne sentiamo più di tre, usciamo in strada, domandiamo che sta succedendo, perché ne stanno esplodendo tanti. In quei giorni ci furono un infinità di questi botti e poi cominciarono a suonare le campane. Questo significava che qualcosa di importante stava accadendo. Voleva dire ‘Allerta, Cheran, ci sono problemi’.”

“Io lavoro in un asilo nido e prima di quel giorno, ero sempre molto presa dal mio lavoro. Quasi non andavo alle riunioni. Quando quelli stavano disboscando, minacciavano la gente. Si arrivò a sequestri e estorsioni. Dopo le 7 del pomeriggio non potevamo uscire. Dovevamo stare rinchiusi perché era l’ora in cui arrivavano e se vedevano persone le minacciavano. Cominciavano a scendere con la legna alle 3, le 4 le 5 della mattina.”

“Ci furono riunioni per discutere cosa fare contro il taglio massiccio dei boschi e cominciava ad avvenire sempre più frequentemente, fino quando il 10 Febbraio 2011 scomparvero tre compagni che formavano il Commissariato dei Beni comunali. Nelle riunioni c’era molta divisione tra le proposte della gente e nessunoa si azzardava a metter un limite per la paura che avevamo. Però quel venerdì 15 Aprile fu un giorno diverso.”

“Quando arrivai mi resi conto che sfortunatamente un compagno era stato ferito e si richiedeva l’appoggio delle donne. Andai per le strade avvisando di chiudere le strade per non far passare più camion. La mia intenzione era che arrivassero più persone possibili in appoggio alle donne. Da quel giorno mi unii a loro”.

“Per spiegare un po’… ogni venerdì tutte le donne salivano presto per pulire le strade del paese, verso le 6 del mattino. Quel giorno fu il gruppo di donne, che stava pulendo l’area intorno alla chiesa Il Calvario, a cominciare. Dovevano essere una ventina. Fu triste vedere come scendevano i camion carichi di legname. Quel giorno ne stavano scendendo vari alle 6 del mattino. E loro decisero con pietre e fuochi d’artificio di fermarli. Nessuno disse ‘Sarà oggi’, ‘Sarà tal giorno’ ‘Sarà a tale ora’. Nessuno. In quel momento si iniziò. Fu spontaneo.”

“Al sentire i fuochi d’artificio e le campane, quasi immediatamente si aggiunse un gruppo di giovani e posteriormente i vicini. Si bruciarono sette camion e si bloccarono 5 persone mentre gli altri riuscirono a scappare con l’appoggio della stessa polizia locale. Da quel momento disconoscemmo le autorità locali e la polizia. La maggior parte non era neanche di qui. E difatti erano in relazione col crimine organizzato. Gli altri rimasero detenuti per 7 giorni”.

“Dopodiché cominciammo a riunirci tutti i giorni alle 6 del pomeriggio, inizialmente nel Calvario e poi nei punti di riunione dei quattro quartieri, e le riunioni generali nel centro. Fu molto duro perché mai eravamo passati per un momento così. Molta gente tardò a uscire di casa perché si era ammalata a causa dello spavento, per la paura avuta in quei momenti.”

“È quasi impossibile raccontare quello che sentii. Sentii un’impotenza pensando che non potevamo fermarli, visto che loro erano armati e noi non avevamo nulla, però nello stesso tempo, quella stessa impotenza mi dava il coraggio di continuare. Perché loro avevano le armi ma noi non saremmo rimasti a braccia incrociate. Non sapevamo cosa sarebbe successo, ma fortunatamente credo che fino a ora abbiamo fermato in parte la grande quantità di alberi abbattuti e soprattutto possiamo dire che siamo un po’ più liberi”.

“Le barricate si organizzarono lo stesso giorno. Anche le fogatas (bivacchi/picchetti) per la notte erano già pronte. Come? Non lo sappiamo. Fu qualcosa come un istinto di tutti. “Io sto qui all’angolo e proteggerò la mia zona”. Nessuno ci disse: “Voi fate le fogatas. Voi fate le barricate”. Non ci furono leader e la ronda si organizzò dopo. Eravamo senza armi, con i turni che si organizzavano all’interno delle fogatas. Donne, uomini, giovani, bambini, tutti partecipavano alle fogatas.”

“Credo che l’autonomia iniziammo a conseguirla dal momento in cui decidemmo di affrontare quelle persone, i tagliaboschi criminali. Perché non vogliamo presidente municipale e tutto il resto? Perché sappiamo che sono parte del problema. Se lo accettassimo, staremmo accettando nuovamente che i nostri boschi vengano distrutti anche più di ora. I politici vanno mano per mano con i narcos.”

“Dopo quelle giornate siamo differenti. E il lottare, combattere per essere differenti ha costato vite. Però, anche in onore a tutte le persone che hanno dato la vita per questa lotta, continueremo per ottenere il più possibile in difesa della natura, che è la nostra vita. Mi sento tranquilla. Mi identifico con tutto quello che sta succedendo perché l’ho vissuto dal principio. Non ho figli, però vedo i miei nipoti e voglio che vivano in libertà”.

“Ad oggi siamo ancora nell’incertezza perché non abbiamo ancora ottenuto ciò che volevamo. Non abbiamo ottenuto che il nostro territorio sia lasciato in pace. Perché anche se non stanno prendendo da qui, lo stanno facendo in altre zone, non nella stessa quantità. Non è ancor il momento di tirare un sospiro di sollievo. Vogliamo che lascino i nostri boschi integri.”

“Ci sono squadre di uomini che salgono giornalmente ai boschi per controllare, riforestare, riabilitare e pulire. È molto pericoloso. Infatti ci sono compagni che hanno perso la vita nell’intento di riscattare i boschi.”

“Ci sono persone che si sono pentite, sopratutto quelle a cui interessa la conquista del potere e il sistema dei partiti. Quelli che cercavano il potere nel Municipio sono rimasti tagliati fuori e fino a un certo punto sono stati sconfitti. Hanno provato nuovamente a distruggerci, però speriamo che non ci riusciranno. Siamo ancora forti e uniti. Siamo la maggioranza. In questo movimento ci sono persone che mai si sono integrate coi partiti politici. Credo che siamo sulla buona strada. Non abbiamo ottenuto tutto però abbiamo più sicurezza. E siamo liberi.”

“Mi piacerebbe che tutti quelli che leggessero questo articolo comprendessero che il movimento non è mosso da interessi personali né di un piccolo gruppo di persone. Il beneficio sarà per tutti. Il pianeta lo amiamo tutti. Il pianeta ci dà la vita. Ci dà l’acqua. E sono anche vite che dobbiamo rispettare.”

La Ronda Comunitaria

“Quando stavano tagliando il bosco del monte qui vicino, attraversavano tutto il paese e dovevamo farci da parte perché erano armati. Era il nostro timore. Avevamo chiesto al governo di mettere fine al disboscamento però, come sempre, non fanno nulla per il popolo. Null’altro che promesse. Fino a d’ora non abbiamo ottenuto soluzioni dal governo, solo dal popolo stesso.”

“Quando si sollevò questo movimento, furono le donne a cominciare. Circa alle 4 del mattino cominciarono a bloccare i camion e cominciarono a sparare petardi. E lì cominciarono a unirsi le persone vicino alla chiesa del terzo quartiere che si chiama El Calvario. Lì fu dove cominciò tutto. Accoresero parecchie persone. Bloccammo le strade con le pietre. E non ci si poteva più entrare al paese. Ponemmo le barricate e le fogatas e la gente ci portava da mangiare di notte. Al principio non si era costituita la Ronda. Ci ribellammo senza armi e solo successivamente ci armammo.”

“Alcune persone proposero di organizzare la ronda e invitarono i giovani a unirsi. Mi invitarono e sono parte della Ronda da due mesi dopo che iniziò il movimento. Perché? Perché volevo stare col popolo e difenderlo. Assicurare che questi delinquenti non entrino qui. Per questo ci siamo organizzati”.

“Siamo volontari. Nessuno dice: tu vai. Dal principio ci siamo armati tutti. Personalmente mi piace questa lotta. È contro quelli che stavano disboscando il monte. Siamo quattro quartieri e ognuno ha a carico il suo quartiere. Prima era molto stancante stare qui giorno e notte ma poi ci siamo organizzati meglio. Ora noi cominciamo alle 10 del mattino e usciamo alle 10 di notte quando arrivano gli altri e possiamo riposare un po’.”

“Non abbiamo capi. Qui siamo tutti uniti. Qualsiasi persona della Ronda può rispondere alle domande che gli volete rivolgere. Tutti sanno che cosa è successo e continua a succedere. Siamo qui in forma volontaria. Ci sono dei coordinatori ora, però le decisioni si prendono insieme”.

“Abbiamo ottenuto alcune cose. Non stanno tagliando i boschi su questo lato del monte anche se continuano a scendere con il legno di questa montagna, da un Rancho che si chiama Cerezos. Però, da quando su questo versante li abbiamo fermati, la situazione si è calmata. Non hanno potuto più sequestrare o fare “desaparecido” a nessuno a Cheran. La gente è più tranquilla di notte perché sa che stiamo controllando le entrate. Abbiamo stabilito il nostro governo. Non vogliamo saperne nulla di partiti perché dividono la comunità. In cambio qui tutte le persone stanno lavorando insieme.”

“Ci sono delle persone contrarie al movimento. La maggior parte di queste si dedica al legname, a tagliare alberi, pero è un’ottava parte del paese. La maggior parte è d’accordo con noi. La situazione rimane tesa. In aprile assassinarono due compagni che stavano lavorando e in questi giorni abbiamo incontrato il corpo di un’altra persona. Ancora non sappiamo esattamente cosa è successo. Magari vogliono entrare. Per questo perquisiamo tutte le macchine che passano. Da qui non entrano. Ringraziamo tutta la gente che ci ha appoggiato.”

Da Radio Fogata, Angel y Mauri parlano del progetto: intervista realizzata con la collaborazione di Alejandra di La Voz de Villa Radio

Mauri: “Il nome della radio ha a che vedere con l’organizzazione della comunità intorno alle fogatas quando cominciò il movimento il 15 Aprile del 2011. La chiamammo Radio Fogata per le fogatas della nostra comunità e per di più il fuoco per i puerepechas è un simbolo e un’arma di organizzazione. La radio cominciò come laboratorio per i giovani… la maggior parte ha dai 15 ai 20 anni. Trattiamo problemi di migrazione, ambientali, sulle donne. Participano anche altri gruppi della comunità come i bambini. Li abbiamo invitati molte volte. A loro interessa molto ciò che riguarda la conservazione delle risorse naturali…”

Angel: “Uno dei motivi per cui si decise di mettere una radio è per informare o comunicare alla gente. Quando c’erano le riunioni o gli eventi o qualche problema, non si riusciva a comunicarlo a tutta la comunità. A parte, c’era qui a Cheran una radio però è del governo e questa radio non permetteva l’informazione reale su quello che stava succedendo”.

Mauri: “Sì, di fatto una volta occupammo questa radio. Tutta la comunità si lanciò contro la radio perché non permetteva comunicare quanto stava succedendo nella comunità. Quindi dopo aver fatto alcuni corsi, si formò questa radio con persone che non si occupavano di radio ma che, in qualche modo, volevano appoggiare la nostra comunità.”

Angel: “Solo io studiavo al liceo. In quel momento non c’era scuola, non c’era nulla da fare, e decisi di collaborare visto che solo me la passavo in casa e così non arriviamo a nulla giusto? E così fu che un giorno uscii di casa e mi resi conto che c’era il workshop sulla radio e mi dissi: andiamo a vedere che succede.”

Mauri: “Non avevo nessuna esperienza in tecniche di comunicazione. Anch’io sentii del workshop e mi incuriosii. Mai avrei creduto di far parte di una radio e di trasmettere programmi sull’ambiente! In questo sì avevo esperienza, nelle questioni ambientali. Prima studiavo a Morelia alla Facoltà di Biologia. Quindi mi interessa molto la natura. E stando dentro alla radio e vedendo i tanti problemi che avevamo nella comunità al rispetto, decisi di fare un programma con una compagna e informare tutti i ragazzi, la gente, i bambini, che dovevamo cambiare il nostro modo di agire contro la natura, e al contrario dovevamo proteggere tutte le risorse naturali per stare bene, con noi stessi e con l’ambiente”.

Angel: “La soddisfazione principale nel fare questo è che cambi come persona. Smetti di pensare che tutti sono felici e buoni. Cambi idea sui partiti, su come si organizza la gente, di quello che succede nel mondo. Hai più interesse su quello che succede nel mondo”.

Mauri: “Apprendi tanto, no? Da tutta la gente che ci fa visita, da tutti i collettivi che vengono dal paese e da fuori… ci redimano conto che non siamo gli unici che hanno problemi in Messico… Ci sono tante esperienze e da queste apprendi molto e ti senti molto soddisfatto perché sai che attraverso la radio la gente ti ascolta, puoi cambiare il modo di pensare delle persone.”

Angel: “Un messaggio per gli altri giovani? Che aprano gli occhi. Che non si lascino ingannare”.

Mauri: “Sì. Che non si facciano prendere in giro da quello che dicono i mezzi di comunicazione e che si motivino, si animino a prendere il microfono, a prendere una videocamera, a prendere tutto quello che si utilizza nella comunicazione per far conoscere la verità e non solo una parte… Noi giovani siamo quelli che possono cambiare la società, possiamo esigere molte cose perché siamo quelli che saranno qui dopo e che subiranno le conseguenze di tutte le cattive azioni… Ci sono stati molti cambiamenti qui nella comunità. Mi sento più sicuro perché prima gli stessi poliziotti erano corrotti. Non c’era sicurezza, non c’era fiducia… Però molta gente la pensava diversamente e già con questo movimento si è organizzata tutta la comunità e tutti ci siamo protetti tra di noi… e ora mi sento più sicuro e felice di far parte di Radio Fogata e di potermi esprimere”.

Angel: “Prima del 15 Aprile, c’era molto da dire, molte sensazioni, però per la paura e per tutte le altre cose – sparizioni forzate, sparatorie – nessuno voleva ribellarsi per dire basta, blocchiamoli. Questo è mio. Non dovete mettervi qui voi. Non avete nulla a che vedere con la comunità… Sì c’era molta voglia di fare qualcosa però la paura ci teneva paralizzati fino al giorno in cui ci fu l’opportunità di ribellarsi e cacciare queste persone che stavano rubando la nostra legna, i nostri alberi.”

Mauri: “Il problema per il quale decidemmo sollevarci esisteva già da tempo. Uno, due, tre anni prima del 15 Aprile. Per paura di quello che potevano farci, non si faceva nulla, fino al 15 Aprile. Il 14 fu quando cominciarono a organizzarsi tutti e il 15 decisero di ricevere tutta questa gente con pali, pietre, bottiglie piene di ghiaia e benzina, con un pezzo di stoffa. Fu quando scendevano dal monte coi camion perché lavoravano di notte. Passavano tutti i camion, non erano 2 o 3, ma 20 o 25 pieni di legname. La comunità si organizzò quando decise di riceverli in quel modo. Fu duro perché io non dimentico e non dimenticherò mai le signore che gridavano, i bambini che piangevano, le campane della chiesa che suonavano e non smettevano. Avevo paura, avevo voglia di andare a vedere tutta questa gente che danneggiava i nostri boschi e prenderli a fucilate, pietrate, perché era una rabbia molto forte quella che sentivamo contro questa gente. Riuscirono a catturarne alcuni. E fu così che cominciò tutto, fu come cominciò il movimento qui nella comunità per avere un po’ più di organizzazione e costruire un governo proprio, autonomo”.

Angel: “Quel giorno mi sentivo molto spaventata perché lì dove c’è la mia scuola c’è l’uscita… e mi toccò vedere un isolato pieno di camion a doppio rimorchio e tutti erano carichi di persone, con un camion con gente sopra che cercava di andare e tutti gli studenti là attorno. Un disastro. I maestri molto preoccupati. Con la voglia di correre e la voglia di fare qualcosa però lì t’invade questa paura tipo ‘ora che faccio?’”.

Mauri: “La gente era stanca. E se il governo non voleva fare nulla contro di loro, la comunità decise che noi dovevamo fare qualcosa per fermarli. E così si fece. Non con una strategia né nulla. Solo fu rabbia allo stato puro. Quella gente sempre girava armata, e questo spaventava le persone, se uno provava a guardarli, gli sparavano. Fino a quel giorno, quando si nascosero tra gli arbusti, negli angoli. Infatti ci fu un contadino a cui spararono in un occhio e rimase invalido su una sedie a rotelle, però fu molto coraggioso e per aver fatto qualcosa per la sua comunità deve sentirsi molto contento e soddisfatto”.

Mauri: “(il processo di organizzazione della comunità) fu lungo. Quel giorno, sinceramente, ci si voleva organizzare alla meglio e riunirsi in un posto per far arrivare tutti però era tanta la paura. Era un paese fantasma, e andò avanti così per mesi, circa tre mesi in cui nessuno poteva girare in strada. Neanche i cani giravano… Uscendo di notte per proteggere la comunità c’erano commissioni di una trentina di persone che vivevano in un isolato. Di loro, una decina uscivano di notte mentre gli altri riposavano. Ci si organizzò e poco a poco la comunità si riprese. Le barricate continuano però le fogatas già sono state tolte e tutto è tornato alla normalità. Ora abbiamo la ronda comunitaria e penso che l’organizzazione sia migliorata notevolmente.”

Angel: “(Cominciammo a parlare dell’autonomia) quando ci rendemmo conto che il governo non avrebbe fatto nulla, e questo a causa dei partiti… Bè, non volevamo continuare così. Eravamo stanchi di tante menzogne, tante parole e nessuna azione. Questo fu una delle principali ragioni per le quali si decise di recuperare l’assemblea tradizionale. Con questa forma di organizzazione si scelsero le persone non per la loro popolarità ma per la loro forma di essere, i valori, le conoscenze acquisite a scuola o attraverso esperienze di vita… c’è più fiducia e credo che faranno meglio dei partiti politici”.

Mauri: “I partiti politici non fanno le cose per bene. È meglio avere un’organizzazione come quella creata qui e da lì scegliere un governo proprio dove non esistano partiti. Non fanno nulla per la comunità, solo per loro stessi.”

Angel: “Il laboratorio sulla radio si tenne tre mesi dopo, già quando tutto era più tranquillo. Doveva esserci un concerto e uno dei partecipanti si animò e disse: ‘Vi trovo un trasmittore e facciamo una trasmissione a filo diffusione. Possiamo fare un evento e raccontare tutto quello che è successo da quel giorno fino a come stiamo oggi’. E alcune persone del suo collettivo ci hanno aiutato a fare la nostra prima trasmissione radio e a darci la spinta a fare una radio nostra”.

Mauri: “La compagna di Radio Vecinidad ci appoggiò molto. Ci prestò il suo registratore, ci consigliò di andare per le fogatas a intervistare le persone per avere materiale da trasmettere. E cominciammo con il suo registratore facendo domande alla gente sulla rivolta e sul dissenso nei confronti del governo, l’insicurezza, la protezione istituzioneale nei confronti delle bande criminali. Infatti su Youtube ci sono video di questi gruppi. Se mettete “Capacuaro” compaiono video dove queste persone filmano il taglio dei pini. E escono sul notiziario, si burlano della nostra comunità e fanno commenti sul governo. Non importa che la gente si organizzi e ponga un freno alla distruzione dei boschi. Il governo li protegge…”.

Angel: “Grazie per la visita e che tutti si animino a fare qualcosa per l’ambiente, per la società, che non si cada più nella rete dei partiti politici e dell’egoismo.”

Mauri: “Non sono favole quelle di cui parliamo. Sono le cose che succedono qui. Invitiamo le persone a organizzarsi e a lottare contro le ingiustizie”.

(Articolo di: Carolina, tradotto da: PIRATA)

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